La scorsa settimana il Niger ha subìto due violenti attacchi terroristici da parte dei miliziani del Mouvement pour l’Unicité et le Jihad en Afrique de l’Ouest (MUJAO) contro un campo militare ad Agadez e un sito per il trattamento dell’uranio della società francese Areva ad Arlit. Il bilancio è stato di almeno venti morti. Secondo le Autorità nigerine, i responsabili delle azioni sarebbero giunti dalla Libia, un’ipotesi tutt’altro che peregrina, considerato lo stato del Paese e le dinamiche in corso nel Sahel centro-occidentale.
Tuttavia, c’è di più: alcuni esponenti islamisti hanno dichiarato che il duplice attacco sarebbe stato condotto non solo dal MUJAO, ma anche dalla brigata di “Coloro che firmano con il sangue”, ossia gli uomini di Mokhtar Belmokhtar (ideatore del sequestro di In Amenas, in Algeria), con il coordinamento dello stesso Belmokhtar, che era stato dato per morto in Mali nel marzo scorso. In questo senso, personalmente sono sempre stato molto prudente nel ritenere certa l’uccisione di Belmokhtar, così come di altri capi del jihadismo, poiché, al di là della mancanza di una conferma ufficiale dell’avvenuto decesso, l’esperienza insegna almeno tre considerazioni: raramente un terrorista è dove in qualche modo egli lasci intendere di essere; le reti dei combattenti islamisti sono estese in modo straordinario e in territori difficilmente controllabili; in alcune circostanze, un miliziano preferisce non smentire la notizia della propria morte. Adesso è fondamentale comprendere se Belmokhtar, detto “il guercio”, reduce dall’Afghanistan post-sovietico e dalla guerra civile in Algeria (suo Paese d’origine), contrabbandiere, protagonista di Al-Qaida nel Maghreb Islamico (AQIM) prima di aderire al MUJAO, sia ancora vivo.
Tornando alle stragi in Niger, esse ci dimostrano due importanti tendenze da ricondursi al livello regionale. Innanzitutto, con buona probabilità assisteremo sempre più spesso ad azioni terroristiche nei Paesi del Sahel, poiché – al netto della scarsità d’informazioni – la campagna in Mali sta costringendo molti combattenti a spostarsi rapidamente. Il problema, infatti, è la permeabilità delle frontiere: la sicurezza dei confini sarebbe dovuta essere preliminare – sebbene quasi impossibile, nonostante volontà e mezzi – alla riconquista dell’Azawad. Inoltre, nella rivendicazione degli attentati, i jihadisti hanno dichiarato di essersi scontrati con le forze speciali francesi, un dato non ancora provato, ma sicuramente verosimile, giacché Parigi ha fornito truppe al Niger proprio per garantire una maggiore sicurezza. La presenza di unità straniere potrebbe convincere gli islamisti a colpire i Paesi che collaborano con la Francia, anche nel tentativo di attirare la simpatia di gruppi nazionalisti.
Il secondo punto è il modus operandi di Belmokhtar: così come nel caso di In Amenas, anche in Niger l’azione è stata spettacolare e ha preso di mira un obiettivo di grande valore economico e industriale. Se davvero Belmokhtar è ancora vivo, molto di quanto fin qui realizzato da Francia, Stati Uniti e Paesi saheliani dovrà essere rapidamente ripreso e rivalutato per evitare la totale vanificazione degli sforzi.
Beniamino Franceschini
La foto contenuta nell’articolo è stata scattata da Thierry Ehrmann.