Schubert – Sinfonia “Incompiuta” , esegue l’Orchestra giovanile Uto Ughi per Roma diretta da Bruno Aprea. Basilica di Santa Sabina in Roma.
La Basilica di Santa Sabina, dentro, è una sorpresa. Forse perché non ha facciata. Nessuno a Roma indirebbe concorsi come nell’ ’81 per Santo Spirito a Firenze, una città che, forte della propria piccola estensione, consente a un Sindaco multitasking, uno che per lo più trascorre il proprio tempo a giocare al segretario di partito, di rinverdirne la simbologia, per dare una rispolverata al mito intramontabile nel mondo. Tanto non costa nulla. O quasi. Dai, giusto un quindicimila euro.
A Roma tutto questo non si fa. I soldi, quelli che non ci sono ma che ci sono invece, si usano in modo diverso. Che importa dei cantieri incompiuti, delle buche, dei gatti e degli umani, entrambi senza tetto, che si litigano tutto per strada, anche l’ombra? O dei trasporti pubblici e privati, dei monumenti alla malora, delle troppe case inoccupate e pure della disoccupazione che solo se ripartono i cantieri, appunto, sembra che si possa eliminare? Parliamo pure del “nero”, allora: quanti operai a cottimo raccolti lungo le strade la mattina presto, quale economia ripartirebbe alla riapertura dei cantieri, se non quella privatissima delle famiglie dei costruttori storici, quelli che sposano la giunta di turno, di destra o di sinistra, non importa? Macché, a Roma il segno di rottura lo dà la chiusura al traffico dei Fori, adesso sì…
Toc toc toc
Il direttore solleva la bacchetta. Parte la sinfonia dagli strumenti dell’orchestra giovanile e tace la mia coscienza. Io e Lola siamo sedute nella frescura della navata principale, dentro la chiesa senza faccia, ma così piena di storia da sollevare chi entra da qualsiasi pena per la propria misera quotidianità.
Suo figlio Martino è quello al clarinetto, ciuffo negli occhi, dita nervose e ossute, orgoglio della mamma. Che sorride, sorride. Io, sai che faccio? Quasi mi commuovo con lei, siamo o non siamo amiche? Quasi, perché mi accorgo che, sopra la dentatura ormai opacizzata dalla fissità, sopra il suo naso affilato, lo sguardo non si sposta dal telefonino. E scoppia a ridere, per giunta, anche se sottovoce.
La vegliarda che l’affianca da sinistra irradia intolleranza. Lola non raccoglie, anzi accresce lo sbellicamento per un certo lasso di tempo. Ma poi chiude le labbra, umettando uno smalto ormai ridotto a intonaco crepato. Io, da destra, ruoto aristocraticamente il profilo nella sua direzione, cercando di non perdere il contatto visivo con l’orchestra. Mi mette la schermata sotto il naso, sono costretta a cedere. Cerco almeno di restare concentrata sulla sinfonia, mi pare che le orecchie mi si allunghino nella direzione opposta. Lola bisbiglia, e io, che non capisco niente, perdo la concentrazione lasciandomi sfuggire un:
- Eeh?!
La navata, ricolma di parenti, ha di che passare il tempo: il nuovo gioco si chiama “trova il colpevole”. Decine di occhi e orecchie come radar, scandagliano il livello teste.
Sono allenata, ho ancora tutti i lividi dell’ultima lezione di pole dance: scivolo sotto e mi affianco alle ginocchia di Lola, le afferro con malagrazia lo smartphone e le sorrido gelida, a occhi semichiusi. Vorrei strozzarla.
Lei, per tutta risposta, amplifica l’ilarità, premiata da un primo Schhhh! che sfuma in un crescendo di archi e oboi. Questo passaggio è proprio da pelle d’oca.
- Leggi.
Leggo: Le tecniche vanno portate quando si trova un’apertura
- E che significa?
- Ah, non lo so. È impazzito.
Parla di Maastricht. Nome in codice che allude alla città dove uno dei tizi coi quali scambia messaggini, un suo ex amico, nemico, amante di ere geologiche ormai dimenticate, ha lavorato per anni, chiedendole, sempre per anni, di venire a fargli visita. Col figlio, pure, se voleva. Tanto casa sua aveva due camere. Due camere? Rispondeva lei, a me, mica a lui.
E io avrei dovuto dormire nel letto con uno che Martino (di anni undici a settembre) nemmeno sa chi è? Non se ne parla proprio. Così aveva procrastinato il viaggio, vagheggiandolo come imminente giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, stagione dopo stagione, anno dopo anno. Conosco Maastricht come se ci avessi vissuto, per quanto Lola me ne ha descritto l’architettura, il clima, le particolarità, con occhi sognanti e spesso davanti a immagini tratte da depliant cartacei e virtuali, a video e cartoline, foto inviatele ogni mattina e ogni sera, per anni. Finché Lui, che non conosco ma, detto col senno di poi, deve avere una pazienza fuori dal comune, è ritornato definitivamente a Roma.
- Non mi ha perdonata di non essere mai andata a trovarlo.
Ed ecco il risultato. Una volta in Italia, l’ha invitata a uscire, ma sul più bello, nel passaggio tra cinema e cena, è stato richiamato a casa dal figlio che aveva maldipancia. Il figlio ha diciott’anni, una madre e una sorella, ma tant’é. Una seconda volta, entrambi erano troppo stanchi e si sono salutati davanti al portone con un bacio sulla guancia. La terza volta è stata rimandata, a causa di lui. La quarta, di lei. Per la quinta, più o meno una settimana fa, avevano trovato un accordo stanco. Occasione sfumata all’ultimo momento perché Maastricht doveva lavorare.
Nel weekend? Lo raccontasse a qualcun’altra! Ha protestato Lola, che ha chiuso l’ultimo approccio scrivendo di non voler essere un impegno a tempo perso (!) seguito da un laconico lasciamo perdere. Ora, se una cosa ho capito da questa mio ancora breve excursus nella scrittura, è che il pensiero, una volta messo per iscritto, non è più di “proprietà” dell’autore, ma è il lettore che riceve l’opportunità di darne un’interpretazione unica e propria.
Lola non scrive altro che messaggini, però. Per lei è tutto bianco o tutto nero: l’uomo in genere è stronzo, mentre la donna, per maggior sicurezza, ha due possibilità.
- La so, la so!
- Anch’io: O è una santa…
- Ok, la sapete. Basta così! Sciò!
Si sono girati tutti, accidenti. Perfino il direttore ha lasciato un’occhiataccia. I demoni hanno scelto di farsi vivi proprio al termine del primo, concitato movimento, nel silenzio che precede la ripresa del primo tema. Fortuna che sono ancora sotto il livello teste. Ora Lola è arrossita e mi chiede con gli occhi che cavolo succede.
Sussurro, imperturbabile:
- Non è impazzito, questa sembra una frase da manuale. Forse è un appassionato di qualche sport diverso dal calcio?
- Come no? – si illumina, – va pazzo per il karate.
Da quel momento la storia scivola in discesa e prende sempre più velocità, al ritmo della musica che si dipana tra un alternarsi di continui contrappunti.
- Allora ti sta prendendo in giro. Non so cosa significhi la frase ma ti vuole dimostrare che di quello che dici non gliene frega niente e lui è superiore.- Sentenzio, mentendo.
- Bastardo!
- Schhh!
Stavolta gli archi e gli oboi non sono stati tempestivi.
- Scusi…
- Schhhhh!!
- Scusi anche lei.
- Schhhhhh!!!
- Mavaffanculo.
Scontriamo le teste sulla ricerca di Opera, uno dei browser installati (il migliore, a mio parere), e troviamo subito una raccolta di frasi memorabili sul karate, riuniti in una pagina sola.
C’è Le tecniche vanno portate… ma anche La mente e’ come cielo e terra oppure La legge include durezza e dolcezza, oppure la misteriosa La distanza “maai’ richiede avanzare e retrocedere, separarsi ed incontrarsi.
- Devo dire che ha scelto bene.
- Sì sì.
- Tu cosa gli rispondi allora?
- Mah. Penavo di non rispondere affatto.
- Daai.
- Rispondo?
- Rispondi.
E così, creando il vuoto attorno a noi, e di quando in quando risollevando gli occhi sul clarinetto de’ mamma sua che per fortuna è rimasto tutto il tempo concentrato, abbiamo selezionato la risposta adatta tra le massime di tal Lao Tsu : Conoscere gli altri è saggezza, conoscere sé stessi è illuminazione.
- Perché poi abbiamo scelto quella?
- Ah, se non lo sai tu, Lola.
Premuto il tasto invio, sono pian piano ritornata a galla sotto lo sguardo obliquo e divertito della mia cara amica, e ho ripreso a seguire l’esecuzione ormai arrivata al termine.
Quindi una gomitata nelle costole mi ha distratto di nuovo. Lui ha risposto.
Ti voglio bene.
Non possiamo crederci, ma allora…
Tenendo il telefono davanti per leggere meglio, non ho potuto fare a meno di notare che nel frattempo un terzo soggetto, completamente estraneo alla- e ignaro della vicenda, inviava a Lola cuori, baci, e frasi a effetto, tratte palesemente dagli incarti dei baci perugina. Di questo tizio non me ne ha mai fatto parola… Hai capito, Lola.
È stato davvero un bel concerto, devo dire.
Martino e sua madre si allontanano abbracciati come due piccioncini. Io so che il cuore di lei non è disponibile ad alcuno che non sia quel suo clarinettista. Ma, evidentemente, ha anche altri bisogni. Quali? E perché li esprime in modo tanto sgraziato? E perché tutti quegli uomini attorno, tutte quelle parole senza nessun significato, né un solo risultato a coronamento di tanta agitazione?
Ci sarebbe da meditare sull’intera questione, ma sono troppo stanca. Ai posteri, visto che cosa scritta…, e se proprio vorranno, la sentenza.
Mi attardo con gli occhi alzati su Santa Sabina, l’incompiuta, sulla quale, nei secoli, hanno messo le mani in tanti. La guardo e mi viene in mente una vecchia intervista a Salvatore Settis, dove diceva
“Ricordo, quando ero al Ginnasio, un discorso di Piero Calamandrei ai giovani: La Costituzione è come l’Incompiuta di Schubert, disse, è un programma concreto. Noi dobbiamo portarlo a termine. Questo è l’orizzonte verso cui dobbiamo camminare, l’orizzonte della Legalità, della Democrazia. Perché la Costituzione siamo noi, i cittadini, spetta a noi lottare perché non sia un’utopia ma diventi una concreta agenda della politica”.
Parla dell’orizzonte che fa andare avanti, progredire, chi insegue, pieno di desiderio, l’utopia.*
Come è bella vista da fuori, la basilica di Santa Sabina, capisco chi l’ha desiderata tanto da volerla completare fino a farla apparire un elemento naturale, un prolungamento del Giardino degli Aranci qui vicino, il posto degli innamorati.
Chissà se esistono ancora e dove si nascondono stanotte, gli innamorati. Probabilmente non perdono tempo a scambiarsi messaggini. Né a discutere della Costituzione e della legge elettorale. Conoscono i propri desideri e li inseguono, e sono forse gli unici ad andare avanti, in questa nera notte.
*) L’utopia, secondo la definizione di Eduardo Galeano, “è come l’orizzonte. Cammino due passi e si allontana di due passi. Cammino dieci passi e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile. E allora a cosa serve l’utopia? Serve per continuare a camminare”.