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L’incontentabilità

Creato il 07 aprile 2013 da Andreapomella

Thomas Mann“L’incontentabilità a dir vero era stata per lui fin da giovinetto essenza e intima natura del talento letterario, e per amor suo egli aveva domato e raffreddato il sentimento, poiché sapeva che esso tende ad accontentarsi di un allegro suppergiù e di una mezza perfezione”.

Oggi pomeriggio mi sono messo a rileggere La morte a Venezia. Dopo poche pagine mi è venuto incontro questo passaggio in cui Thomas Mann spiega uno dei limiti dell’opera di Gustav Aschenbach, o perlomeno qualcosa che lui, nella finzione romanzesca, doveva percepire come tale: la mancanza di incontentabilità. Vale a dire, lo scrittore veramente grande è colui che non si accontenta, che pone l’asticella sempre un po’ più in alto di quanto lui stesso, oggettivamente, ritiene essere la soglia massima raggiungibile dal proprio talento. E quindi, quelli che noi chiamiamo “capolavori letterari”, in realtà non avrebbero ragione di essere definiti tali, perché se fosse esistito nei secoli un talento così puro e dotato della somma dote dell’incontentabilità, costui – è del tutto evidente – non ci avrebbe lasciato l’ombra di una creazione, e l’idea stessa di capolavoro andrebbe ripensata. Secondo questa logica, quel che abbiamo sarebbe invece un pantheon di mezze opere, di accomodamenti, di scialbi compromessi, e quel che chiamiamo “storia della letteratura universale” non sarebbe altro che un elenco di autori che si sono “accontentati”, una successione di “allegri suppergiù”. Un po’ vero e un po’ no; però, a suo modo, Mann ha ragione. È l’incontentabilità che fa la differenza. È l’insoddisfazione cronica, la nevrosi del sognatore incallito che non scende mai a patti con la realtà. E uno scrittore, in tutta verità, è nient’altro che questo.


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