Nelle ultime due settimane, un accordo temporaneo per mantenere la Grecia nella zona euro è stato raggiunto a Bruxelles, una tabella di marcia per il cessate il fuoco è stata concordata a Minsk e i negoziatori iraniani hanno avanzato un potenziale accordo nucleare a Ginevra. Squadroni di diplomatici hanno prevenuto una crisi geopolitica dopo l’altra. Eppure sarebbe prematuro, anche incauto, supporre che le linee di faglia che definiscono questi problemi sono effettivamente stabili. Capire come queste crisi sono inestricabilmente collegate è il primo passo verso la valutazione di quando e dove il prossimo scoppio è probabile che si verifichi.
La Germania e la crisi dell’Eurozona
La Germania è diventata di nuovo vittima del suo stesso potere. Come più grande creditore di Europa, ha una notevole influenza politica sui paesi debitori come la Grecia, la cui intera sopravvivenza ora dipende dal fatto che il cancelliere tedesco Angela Merkel sia disposta a firmare un altro assegno di salvataggio. Non dimentichiamolo, la Germania sta esportando l’equivalente di circa metà del suo Pil e la maggior parte di tali esportazioni è consumata in Europa. Pertanto, le istituzioni sulle quali la Germania si basa per proteggere i propri mercati di esportazione sono le istituzioni stesse a favore delle quali Berlino deve combattere per proteggere la ricchezza nazionale della Germania.
Molti hanno descritto il recente accordo di Bruxelles come una vittoria di Berlino su Atene considerato che i ministri delle finanze della zona euro, tra cui quello portoghese, spagnolo e francese, si sono accodati alla Germania, rifiutando alla Grecia il diritto di eludere i propri obblighi di debito. Ma la Merkel non può certo rischiare un numero illimitato di fondi dei contribuenti tedeschi sulle inconsistenti promesse greche di ridurre i costi e di imporre riforme strutturali su una popolazione che, per ora, vede ancora il partito Syriza al governo come il suo salvatore dall’austerità. Entro quattro mesi, la Grecia e la Germania saranno di nuovo ai ferri corti e la Grecia probabilmente mancherà ancora delle credenziali di austerità di cui Berlino ha bisogno per convincere i propri euroscettici che ha il peso istituzionale e la credibilità di imporre l’oculatezza germanica al resto d’Europa. Più la Germania compra tempo, più inflessibili diventano le posizioni negoziali tedesche e greche, e più commercianti, uomini d’affari e politici dovranno prendere seriamente la minaccia di una cosiddetta Grexit, il primo di una catena di eventi che potrebbe frantumare la zona euro.
Il ruolo della crisi in Ucraina
Al fine di tenere alla larga la Germania da una crescente crisi della zona euro, la Merkel ha bisogno di calmare il suo fronte orientale. Non c’è da meravigliarsi, quindi, che si sia prodigata in più notti insonni e in un programma di viaggio incessante per mettere un altro accordo di Minsk con la Russia sulla carta. L’operazione è stata viziata fin dall’inizio, perché ha evitato di riconoscere i tentativi in corso da parte dei separatisti filo-russi di raddrizzare la linea di demarcazione portando lo snodo di Debaltsevo sotto loro zona di controllo. Dopo diversi giorni di confronto, i tedeschi (ancora una volta sfruttando il loro status di creditore – questa volta, contro l’Ucraina) hanno tranquillamente spinto il presidente ucraino Petro Poroshenko ad accettare la realtà della battaglia e di procedere ad un accordo di cessate il fuoco. Ma anche se la Germania da un lato e la Russia dall’altro sono state in grado di realizzare una relativa calma in Ucraina orientale, ciò potrebbe alla fine fare poco per attenuare la situazione di stallo tra gli Stati Uniti e la Russia.
La connessione tra l’Ucraina e l’Iran
Contrariamente all’opinione popolare in Occidente, il presidente russo Vladimir Putin non è guidato da pazze ambizioni territoriali. Egli guarda alla mappa, proprio come i suoi predecessori hanno fatto per secoli, ed è alle prese con il compito di mettere in sicurezza il ventre russo da uno stato di confine che sta andando sotto l’ala di una potenza militare molto più temibile in Occidente. Come gli Stati Uniti hanno ricordato a Mosca più volte negli ultimi giorni, la Casa Bianca mantiene l’opzione per inviare aiuti letali all’Ucraina. Con attrezzature più pesanti arrivano gli addestratori, e con gli addestratori arrivano gli stivali sul terreno.
Dal suo punto di vista, Putin può già vedere gli Stati Uniti estendersi oltre i limiti della NATO per assumere e sostenere alleati lungo la periferia russa. Anche se le tregue a breve termine fossero violate in Ucraina orientale, non vi è nulla che osti ad un tentativo statunitense molto più profondo nella regione. Questo è il presupposto che guiderà le azioni russe nei prossimi mesi, dato che Putin rivede le sue opzioni militari, tra le quali stabilire un ponte di terra alla Crimea (una mossa che, in effetti, lascerebbe ancora il confine della Russia con l’Ucraina esposto), una spinta più ambiziosa verso ovest per ancorarla al fiume Dnieper e sondare le azioni dei paesi baltici per testare la credibilità della NATO.
Gli Stati Uniti non hanno il lusso di poter escludere una qualsiasi di queste possibilità, quindi devono prepararsi di conseguenza. Ma concentrarsi sul teatro eurasiatico implica innanzitutto disimpegnarsi in Medio Oriente, a cominciare dall’Iran. E così arriviamo a Ginevra, dove il segretario di Stato americano John Kerry e il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif si sono incontrati di nuovo il 22 febbraio per elaborare i restanti punti di un accordo sul nucleare prima del 31 marzo, la data entro la quale il presidente americano Barack Obama dovrebbe poter dimostrare sufficienti progressi nei negoziati per evitare che il Congresso imponga ulteriori sanzioni contro l’Iran. Se gli Stati Uniti vogliono realisticamente entrare in scenari in cui le forze militari statunitensi affrontano la Russia in Europa, c’è bisogno di essere in grado di ridistribuire rapidamente le forze che hanno trascorso gli ultimi dodici anni a spegnere incendi accesi da emirati jihadisti e a prepararsi per un potenziale conflitto nel Golfo Persico. Per alleggerire il suo carico in Medio Oriente, gli Stati Uniti cercheranno potenze regionali con interessi costituiti e spesso in competizione, perché si assumano maggiori responsabilità
Un’intesa tra iraniani e statunitensi va ben al di là dell’accordo su quanto uranio l’Iran abbia il permesso di arricchire e quante sanzioni saranno eliminate in cambio di limitare il suo programma nucleare. Essa disegnerà i contorni regionali di una sfera d’influenza iraniana e lascerà spazio a Washington e Teheran per cooperare in settori in cui i loro interessi siano allineati. Possiamo già vedere questo in effetti in Iraq e in Siria, dove la minaccia dello Stato Islamico ha costretto gli Stati Uniti e l’Iran a coordinare gli sforzi per contenere le ambizioni jihadiste. Anche se gli Stati Uniti saranno comprensibilmente più cauti nelle loro dichiarazioni pubbliche, mentre si cerca di limitare l’ansia di Israele, i funzionari degli Stati Uniti hanno credibilmente fatto commenti positivi sul ruolo di Hezbollah nella lotta al terrorismo quando si parlano in privato con i loro interlocutori libanesi in recenti incontri. Questo può sembrare un piccolo dettaglio in superficie, ma l’Iran vede un riavvicinamento con gli Stati Uniti come un’opportunità per chiedere il riconoscimento di Hezbollah come attore politico legittimo.
Un riavvicinamento delle parti non sarà completato entro marzo, giugno o qualsiasi altro termine Washington fissi per quest’anno. Gli accordi quadro sulla questione nucleare e le sanzioni saranno necessariamente implementati in fasi tali da estendere di fatto i negoziati al 2016, quando il Congresso potrebbe consentire che le sanzioni principali contro l’Iran scadano dopo diversi mesi di test di conformità iraniana e dopo che l’Iran abbia superato le sue elezioni parlamentari. Intoppi potrebbero sorgere lungo la strada, come la morte del leader supremo iraniano, l’ayatollah Ali Khamenei, ma non scoraggerebbero la Casa Bianca dal fissare una rotta verso la normalizzazione delle relazioni con l’Iran. Gli Stati Uniti, a prescindere da quale parte stia controllando la Casa Bianca, metteranno in conto la minaccia di un crescente conflitto eurasiatico ben prima di una de-escalation del conflitto con l’Iran. Anche se un accordo nucleare stabilisse le basi per un accordo Stati Uniti-Iran, Washington si baserà su potenze regionali come la Turchia e l’Arabia Saudita per erodere i margini della sfera d’influenza dell’Iran, incoraggiando le rivalità naturali della regione per plasmare un relativo equilibrio di potenza nel tempo.
Chiudere il cerchio
La Germania ha bisogno di un accordo con la Russia per essere in grado di gestire una crisi esistenziale per la zona euro; la Russia ha bisogno di un accordo con gli Stati Uniti per limitare l’espansione degli Stati Uniti nella sua sfera di influenza; e gli Stati Uniti hanno bisogno di un accordo con l’Iran per ri-focalizzare l’attenzione sulla Russia. Nessun conflitto è separato dagli altri, anche se ciascuno può avere dimensioni differenti. Germania e Russia possono trovare il modo per risolvere le loro differenze, così come Iran e Stati Uniti. Ma una prolungata crisi della zona euro non può essere evitata, né una profonda diffidenza russa delle intenzioni degli Stati Uniti per la sua periferia.
Entrambe le questioni portano gli Stati Uniti a tornare in Eurasia. Una Germania occupata al suo interno obbligherà gli Stati Uniti ad andare al di là dei confini della NATO per circondare la Russia. State tranquilli, la Russia – anche se sotto grave stress economico – troverà i mezzi per rispondere.