Eccome se a volte ritornano: proprio alla vigilia dell’anniversario della Liberazione i muri di Modena sono stati lordati di grandi svastiche, proprio nello stesso quartiere nel quale era stata distrutta per due volte la stele dedicata alle vittime dell’Olocausto, negli stessi giorni nei quali i consiglieri provinciali della Lega Nord avavno proposto di erigere accanto al monumento una lapide in memoria di tutti i caduti della guerra civile del 1943-45, occupanti nazisti compresi.
Eccome se ritornano. E se li lasciamo tornare. Troppe poche proteste si sono levate contro la proposta di legge per cancellare la norma transitoria della Costituzione che vieta la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del partito fascista.
Non inorgogliamoci se è diventato un luogo comune di certa saggistica internazionale riconoscere un carattere specifico dell’Italia nel mondo moderno: quello di inventare periodicamente nuovi modelli dittatoriali. Negli anni Venti del Novecento il fascismo fu il primo esempio di una tirannia contemporanea di massa, ampiamente imitata e ed evolutasi nel successivo ventennio.
Oggi si ammette sia pure tardivamente, per quelli svegliatisi da poco, che gli anni di berlusconi al potere non sono uno spot di breve durata, ma si fondano sulla creazione di un nuovo tipo di regime che solo formalmente finge di adeguarsi ai requisiti della democrazia, ma che persegue una deriva autoritaria e monocratica.
Proprio per questo rinuncio volentieri al monito di Benjamin, guardarsi dall’imitare l’angelo della storia che cammina avanti con la testa rivolta all’indietro.
Ogni tentativo di stravolgere la memoria in nome di una distorta pacificazione, cui hanno peraltro contribuito alcuni protervi sostenitori di un uso politico del garantismo storico, per il quale ragazzini di Salò e partigiani sono uguali al cospetto del passare del tempo, diventa inevitabilmente funzionale all’affermazione di un regime repressivo delle libertà pubbliche e individuali, oltre che lesivo della costituzione e delle istituzioni democratiche.
È che come dice Montesquieu la democrazia è faticosa, richiede vigilanza, senso di responsabilità, inclinazione alla solidarietà e a principi di equità. E soprattutto in tempi di crisi, i valori della coesione sociale per chi è poco accorto o per chi alimenta paura e diffidenza per imporre svolte autoritarie, vengono valutate come una minaccia ai privilegi acquisiti. E allora sembra preferibile chiudersi in un isolamento solipsistico, nell’inclusione degli affini e l’ esclusione dei diversi – che diventano nemici – dettate dalla paura e nella delega delle scelte e addirittura del futuro.
Così si cede a un sistema persuasivo nel quale tutti i gatti sono bigi: si consolida l’opinione non troppo lontana dalla realtà dell’ubiquità del clientelismo, del personalismo, della tolleranza dell’illegalità, si riconferma il distacco ben alimentato e la disaffezione dalla politica, una “cosa sporca” affidata dai cittadini per bene e benpensanti, a cricche spregiudicate disinteressate fisiologicamente al bene pubblico e mosse da ambizioni e profitti disdicevoli.
Quell’uso politico della memoria, o meglio della smemoratezza, che fa guardare con accidiosa e disillusa indifferenza a certi rigurgiti ormai sempre più tracotanti, aiuta e favorisce incauti ritorni.
Se volessimo aprire una comparazione tra il berlusconismo e il fascismo storico, non si può non vedere che il progetto di modificare alla radice e in maniera irreversibile l’assetto costituzionale del potere, realizzato alla metà degli anni Venti da Mussolini, e di rompere gli argini nella conquista del consenso, riducendo la società a un piatto conformismo e l’opposizione a una sparuta e spaurita minoranza, è riuscito. Se fino a un certo punto il regime di Berlusconi operava in un contesto di ampie libertà mentre quello di Mussolini era basato su un brutale dominio, si sta dimostrando che quei diritti civili e politici che pensavamo di godere avevano un carattere di illusorietà e stanno per essere definitivamente erosi, come dimostrano lo svuotamento del parlamentarismo, la pressione sull’informazione, l’irrisione dei referendum, avviliti da esplicite leggi truffa.
La manomissione dell’articolo 1 della Costituzione è esemplare. In questo Paese la libertà delle elezioni è solo apparentemente garantita. Nella realtà non esistono più regole efficaci che assicurino il loro libero e uniforme svolgimento: Berlusconi resta il massimo rappresentante su scala mondiale di un ristretto ma robusto gruppo di attori “patrimoniali” emergenti dal terziario e soprattutto dalle comunicazioni, che hanno impiegato ed usano le loro ricchezze, oltre che opache e inquietanti alleanze criminose, per distorcere e pilotare il processo democratico.
Disegnano svastiche, indosseranno l’orbace, perchè sono esuberanti nella loro rozzezza e protervi nella loro misoneista ignoranza, ma soprattutto perché vogliono misurare la nostra paura.
Indigniamoci, mostriamogli che non temiamo il loro olio di ricino e i loro manganelli, prima che sia troppo tardi. Proviamo loro che sappiamo riprenderci la lezione del riscatto. Non cancelliamole quelle svastiche maledette, teniamole là perché sveglino la nostra vergogna per averle lasciate disegnare, come è rimasto fermo un orologio alla stazione di Bologna, come esistono ancora tante rovine in un Paese che deve imparare a ribellarsi e ricostruire.
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