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L’India e il problema energetico: situazione attuale e prospettive

Creato il 03 aprile 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
L’India e il problema energetico: situazione attuale e prospettive
Contraddizioni e debolezze

Durante lo scorso mese di luglio 2012, l’India è stata al centro delle cronache mondiali per il non invidiabile primato del più grande blackout della storia. Si è trattato del collasso quasi simultaneo della rete elettrica di 19 Stati nel nord e nord-est del paese, che in due giorni ha lasciato al buio circa 620 milioni di persone. Seppur non di queste dimensioni, i blackout non sono una novità in India, e sono la dimostrazione della debolezza infrastrutturale del gigante asiatico. Nel caso in questione le autorità di Nuova Delhi hanno puntato il dito su quattro Stati nel nord del paese (Haryana, Uttar Pradesh, Rajasthan e Punjab), rei di aver generato una domanda eccessiva di elettricità, che ha mandato in tilt l’intero sistema. Quest’ultimo non è mai riuscito a tenere il passo con la crescita economica indiana. Stando alle statistiche governative, nei periodi di picco nei consumi, la domanda supera l’offerta di circa il 10%, costringendo molte aziende a dotarsi di propri generatori. Una parte del problema è data dal fatto, inoltre, che più di 300 milioni di persone non sono per niente collegate alla rete elettrica1.

Le crescite rapide ed impetuose portano sempre con sé profonde contraddizioni, e l’India non rappresenta un’eccezione in questo senso. Se da una parte si è assistito in questi anni a tassi di crescita sostenuti, massicci investimenti, sviluppo di settori all’avanguardia mondiale, soprattutto in ambito hi-tech, dall’altra l’India è ancora un paese con circa il 29,8% della popolazione al di sotto della soglia di povertà, un tasso di mortalità infantile pari a 46 bambini morti ogni 1000 nascite e una malnutrizione giovanile che supera il 40%2. In particolare, se si vanno ad analizzare i dati sulla povertà, si può notare come mentre dal 1994 al 2002 si è assistito ad una costante riduzione, negli ultimi anni il trend si è invertito. Recentemente poi il FMI ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita per il paese asiatico. La crescita indiana, come anche quella degli altri paesi emergenti, ha subito un forte rallentamento nell’ultimo quarto del 2012 (4,5%), mentre le previsioni per il 2013 si attestano intorno al 5,9%3. Si tratta di dati comunque elevati se paragonati ai tassi di crescita e ai problemi degli ansimanti paesi europei. Bisogna però considerare che l’economia indiana è stata negli ultimi anni “drogata” da massicci flussi di investimenti esteri, e un rallentamento nella crescita può fare emergere tutte quelle debolezze che il boom economico ha fatto solo passare in secondo piano. Si può fare riferimento alla scarsità d’infrastrutture anche elementari, a un deficit crescente e agli alti tassi di corruzione. Inoltre recentemente si sono moltiplicate le proteste da parte dei lavoratori contro il carovita, per salari più elevati e migliori condizioni di lavoro. Non bisogna dimenticare che alla base del successo indiano vi è stata la capacità di attirare outsourcing, grazie al vantaggio competitivo del basso costo del lavoro.

Tornando al problema energetico, i frequenti blackout, oltre ai disagi che creano, rappresentano anche un danno d’immagine per un paese che, al momento, non può fare a meno dei fattori esterni per sostenere il proprio sviluppo. Un imperativo per i governi indiani sarà dunque quello del rafforzamento della rete elettrica e delle infrastrutture necessarie per la produzione e il trasporto di energia. Come anche la Cina, l’India è sempre più affamata di materie prime e verosimilmente lo sarà sempre di più, di pari passo con la progressiva espansione economica. Per l’approvvigionamento e la differenziazione delle stesse, centrali saranno i rapporti che Nuova Delhi riuscirà ad allacciare con i paesi limitrofi e in generale soprattutto in tutta l’aria del Grande Medio Oriente, dove si stanno giocando le dinamiche più importanti tra i principali attori internazionali.

Il sistema energetico indiano

Sostenuta crescita economica e parallela urbanizzazione, hanno fatto crescere notevolmente i consumi energetici indiani negli ultimi anni. Analizzando i dati statistici relativi ai consumi di energia primaria4, si può notare come quelli dell’India sono quasi raddoppiati rispetto al 2001. Tutto ciò fa oggi di Nuova Delhi il quarto consumatore al mondo di energia primaria. Osservando in dettaglio la ripartizione dei consumi, si può notare come il carbone soddisfi da solo circa il 52% dei consumi totali, seguito dal petrolio al 29%, il gas naturale al 11%, l’idroelettrico al 5%, rinnovabili al 2% e nucleare al 1,2%. Riguardo al carbone, che da solo genera quasi il 70% della produzione elettrica, nonostante l’India sia uno dei maggiori produttori mondiali, l’enorme fabbisogno costringe il paese ad importarne dall’estero, principalmente da Australia, Indonesia e Sud Africa. Per il 2012-13, nonostante una parallela crescita della produzione, si attende un aumento del 28,3% delle importazioni, fino a raggiungere le 127 milioni di tonnellate importate5.

Nel settore petrolifero l’India dispone invece di una produzione complessiva di circa 40 milioni di tonnellate di petrolio grezzo. Stando ai dati sui consumi che si attestano attorno ai 162 milioni di tonnellate, ne deriva che il paese è costretto ad attingere dall’estero, per soddisfare il proprio fabbisogno. I paesi da cui il petrolio viene importato sono principalmente nel Vicino Oriente (circa il 69% del totale proviene da quest’area), con l’Arabia Saudita che fornisce il 19%, l’Iraq il 14%, l’Iràn l’11% e il Kuwait il 10%6. Bisogna sottolineare come l’Iràn sia stato per diversi anni il secondo fornitore di petrolio dopo i sauditi e solo recentemente le quote provenienti da Tehran sono diminuite (e probabilmente destinate a diminuire ancora). Alla base vi sono le sanzioni sponsorizzate dagli Stati Uniti nei confronti dello Stato iraniano, collegate al programma nucleare di Tehran.

Riguardo al gas naturale, è probabile che in futuro questa risorsa ricopra una posizione sempre più importante per l’India, viste le politiche volte alla differenziazione e alla riduzione della dipendenza da una fonte maggiormente inquinante come il carbone. Negli ultimi anni le riserve provate di gas sono progressivamente aumentate, consentendo così un analogo aumento della produzione. Fino al 2008 la maggior parte della produzione di gas proveniva dalle riserve offshore nella zona di Mumbai; recentemente invece la scoperta di giacimenti nel Golfo del Bengala ha fatto sì che il fulcro della produzione si spostasse su quest’area. Anche in questo comparto, però, la domanda supera l’offerta interna, e così l’India importa gas naturale, totalmente sotto forma liquefatta (GNL), il 65% del quale proviene dal Qatar7.

Allo stato attuale l’apporto fornito dal nucleare alla produzione elettrica indiana è invece ancora relativamente basso (4,4 GW su un totale di 177 GW). Il settore ha dovuto affrontare un gap tecnologico in seguito all’embargo di tecnologie nucleari, dovuto alla non adesione al trattato di non proliferazione (TNP) e agli esperimenti nucleari militari degli anni ‘90. Il nucleare è però al centro di un massiccio programma di rafforzamento, che prevede di aumentarne il contributo fino a 20 GW per il 20208.

Prospettive

Negli ultimi anni alcuni progetti di gasdotti sono stati al centro del dibattito internazionale, per i loro risvolti geopolitici, nonché problematicità. Ci si può riferire al TAPI (Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India Pipeline), all’IPI (Iràn-Pakistan-India Pipeline) e al MBI (Myanmar-Bangladesh-India Pipeline).

Il progetto del gasdotto TAPI
Riguardo al primo, si tratta del progetto di costruzione di un gasdotto (della lunghezza di 1700 km) che dovrebbe partire dai giacimenti turkmeni di Daulatabad, per poi attraversare le città di Herat e Kandahar in Afghanistan, il Belucistan pakistano e terminare il suo percorso nella città indiana di Fazika. Se ne iniziò a discutere già negli anni ‘90, esso era fortemente voluto dagli Stati Uniti con l’obiettivo di diminuire l’influenza russa sull’Asia Centrale, ma l’invasione dell’Afghanistan comportò la sospensione del progetto. Recentemente è tornato al centro del dibattito, a causa dei contrasti relativi al prezzo del gas tra Russia e Turkmenistan, che hanno avuto come conseguenza una diminuzione dei volumi di scambio tra Ashgabat e Mosca. Gioca un ruolo rilevante anche la volontà statunitense di offrire un’alternativa credibile a Pakistan e India, rispetto alle importazioni dall’Iràn. Allo stato attuale il progetto appare di difficile realizzazione, l’ostacolo principale riguarda la sicurezza. Il TAPI si troverebbe infatti ad attraversare zone “calde” e scarsamente controllate sia in Afghanistan che Pakistan; inoltre, a minare il progetto vi sarebbe anche l’iniziativa cinese9. Pechino sta trattando con il Turkmenistan per la realizzazione di un gasdotto concorrente, che porterebbe il gas in Cina attraverso l’Afghanistan settentrionale. Il piano andrebbe di fatto a tagliar fuori sia Pakistan che India.

Il progetto del gasdotto IPI
Per quanto riguarda invece il progetto IPI, risale al 1995 la firma di un accordo preliminare tra Iràn e Pakistan, per collegare le riserve iraniane di South Pars alla città pakistana di Karachi. Nel 1999 esso venne esteso anche all’India, con un’intesa tra i governi di Tehran e Nuova Delhi. Mentre la messa in opera del gasdotto prosegue riguardo al tratto Iràn-Pakistan, nel 2009 l’India ha manifestato la sua intenzione di rinunciare al progetto. Sembra che alla base della rinuncia vi sia l’accordo sul nucleare siglato con gli Usa nel 2008, nonché le stesse pressioni da parte di Washington volte all’isolamento economico-politico di Tehran. In realtà il piano IPI, riguardo l’India, è attualmente in sospeso e dunque non ancora definitivamente abbandonato. Anche in questo caso inoltre, nei dubbi di Nuova Delhi, hanno un peso rilevante le considerazioni relative alla sicurezza. Il gasdotto infatti si troverebbe ad attraversare l’area altamente instabile del Belucistan iraniano-pakistano. Sia per l’IPI che per il TAPI, giocano poi un ruolo non secondario le diffidenze indiane nei confronti del Pakistan. Il transito delle condutture sul territorio d’Islamabad darebbe a quest’ultimo il potere di bloccare le forniture di gas, in caso di una recrudescenza delle tensioni con il vicino. Un’ipotesi questa che una lungimirante politica energetica non può sottovalutare.

Il progetto del gasdotto MBI
Destinato ad essere accantonato è invece il progetto del gasdotto che avrebbe dovuto collegare il Myanmar all’India, passando per il Bangladesh. Del piano se ne iniziò a discutere nel 1997, ma successivamente le trattative entrarono in una fase di stallo a causa delle divergenti politiche energetiche tra India e Bangladesh. A dare il colpo di grazia al MBI è stata con molta probabilità ancora una volta l’iniziativa cinese. Nel 2009, infatti, i governi di Pechino e Naypyidaw si sono accordati per la costruzione di un oleo-gasdotto, allo stato attuale in fase di completamento, che pomperà idrocarburi dalla costa occidentale del Myanmar fino alla città cinese di Kunning. Come sottolineato da diversi analisti, le riserve dell’ex Birmania non sarebbero sufficienti a sopperire contemporaneamente al fabbisogno di Cina e India10.

Si è già accennato a proposito dell’intenzione da parte indiana di lanciarsi in un massiccio piano di rafforzamento dal punto di vista dell’energia nucleare. Prospettiva questa che nemmeno il disastro di Fukushima, nonostante la forte risonanza a livello di opinione pubblica, sembra aver intaccato. Fondamentale in questo senso, per la possibilità di attingere al know how tecnologico è la cooperazione con gli Stati Uniti. Nel 2008 i due paesi hanno siglato un accordo storico (123 Agreement, U.S.-India Civil Nuclear Agreement), che ha sancito l’uscita per l’India dall’embargo nucleare conseguente alla non adesione al TNP. In base all’accordo, l’India potrà acquistare materiale fissile e tecnologia nucleare, offrendo in cambio l’apertura dei suoi impianti nucleari civili alle ispezioni dell’AIEA. È facile intuire l’importanza economica dell’intesa, in vista dell’obiettivo indiano di mitigare la propria dipendenza dai combustibili fossili. Ma accanto a questo, l’accordo di cooperazione nucleare con Washington ha comportato anche il riconoscimento implicito di Nuova Delhi come potenza nucleare militare. All’interno del partenariato energetico tra Stati Uniti e India, riveste inoltre una certa importanza anche la cooperazione volta a sviluppare le conoscenze e le tecniche di sfruttamento dello shale gas. Si tratta di gas metano prodotto da giacimenti non convenzionali di argille e sembra che il territorio indiano ne sia particolarmente ricco.

Sempre in ambito nucleare, recentemente sono stati scoperti consistenti depositi di uranio nel bacino dell’Andhra Pradesh11; ciò nonostante, anche in vista dall’ampliamento del settore, il paese risulta dipendente dalle importazioni. In questo ambito un ruolo rilevante lo ha sempre rivestito la cooperazione con la Russia, sia dal punto di vista delle forniture di uranio, sia da quello del rafforzamento infrastrutturale. Nell’Aprile 2011, poi, l’India ha siglato un importante accordo con il Kazakistan. L’intesa prevede una fornitura da parte kazaka di uranio (2100 tonnellate entro il 2014), oltre alla possibilità di dare vita ad una join venture per l’esplorazione e l’estrazione comune nei giacimenti di uranio12. Anche la Cina però è fortemente interessata alle consistenti riserve energetiche kazake. Pechino ha notevolmente rafforzato negli ultimi anni la cooperazione commerciale con Astana. Il Kazakistan si configurerà dunque come un ulteriore teatro della competizione energetica tra India e Cina. Infine, lo scorso ottobre, India e Australia si sono accordate per intensificare la cooperazione in materia nucleare, in particolare sulla possibilità da parte di Canberra di vendere uranio alle compagnie indiane. Non bisogna dimenticare che l’Australia detiene circa il 31% (fonte AIEA) delle riserve di uranio del pianeta; ciò la rende un partner fondamentale per la futura politica energetica di Nuova Delhi.

Alcune considerazioni merita infine la penetrazione indiana in Africa. Il continente è ricco di materie prime, presenta confini incerti e paesi dalle fortissime tensioni ed instabilità. Ingredienti questi che non possono che farne un’area di forte interesse per gli attori esterni. Recentemente gli Stati Uniti hanno inviato piccoli contingenti in 35 paesi dell’Africa Centrale, con lo scopo di condurre esercitazioni militari nei paesi interessati. L’obiettivo ufficiale è la lotta al fondamentalismo islamico (anche in appoggio all’iniziativa francese in Mali), ma diversi analisti hanno sottolineato come potrebbe essere il primo passo per una futura più ampia presenza, in funzione di contrasto della massiccia penetrazione economica cinese. Il superiore hard power nordamericano verrebbe dunque dispiegato per contrastare l’efficace soft power cinese degli ultimi anni.

Riguardo l’India, la presenza economica di Nuova Delhi in Africa è cresciuta considerevolmente nell’ultimo decennio. Il giro d’affari India-Africa è passato dai 3 miliardi di dollari del 2000, fino a superare i 60 miliardi di dollari nel 2011. In paesi come Kenya e Tanzania la penetrazione economica è stata favorita dalla presenza della diaspora di una consistente comunità indiana. L’interesse del paese asiatico in Africa riguarda principalmente il reperimento di materie prime, petrolio in primis. Circa l’8% del totale delle importazioni petrolifere indiane proviene dalla Nigeria, il 5% dall’Angola, percentuali minori vengono fornite da Egitto, Algeria e Sudan13. Visto poi il programma nucleare indiano, Nuova Delhi avrà certamente, in futuro, un occhio di riguardo per le consistenti riserve di uranio presenti in Namibia e Niger. Progressivamente in aumento, infatti, sono anche gli investimenti indiani nel continente, con la Nigeria seguita dal Sudafrica nel ruolo dei principali partner commerciali in termini di volume d’affari. Si tratta di flussi di capitali che non sono indirizzati solamente allo sviluppo del comparto idrocarburi e riserve minerarie (importanti da questo punto di vista quelli investiti nel sud del Sudan, area ricca di petrolio, ma altamente instabile), ma anche verso i settori farmaceutico, manifatturiero, della formazione, dei trasporti e delle telecomunicazioni. A riguardo bisogna sottolineare come negli investimenti l’India predilige, rispetto alla Cina, un profilo più basso, che vede protagoniste imprese private, con l’utilizzo per lo più di personale locale.

In conclusione, se l’approvvigionamento e la differenziazione energetica sono una priorità per tutti i paesi industrializzati, l’India ha la necessità aggiuntiva di colmare un gap infrastrutturale, e massicci investimenti si renderanno dunque necessari in quest’ambito. Nella competizione per il reperimento delle materie prime, fondamentali saranno poi le relazioni con gli Stati Uniti da una parte e con la Cina dall’altra. Riguardo ai primi, recentemente si è assistito ad un certo rafforzamento dei rapporti (Obama ne ha parlato come “dell’alleanza che definirà il XXI secolo”); ciononostante, però, per Washington mantenere anche un certo grado di cooperazione con il Pakistan risulta essenziale, soprattutto in vista del ritiro dall’Afghanistan previsto per il 2014. Lungo l’asse Nuova Delhi-Islamabad, il rischio per gli USA potrebbe essere quello che, nel non voler scontentare nessuno dei due paesi, si finisca per deludere entrambi.

Riguardo invece alla Cina, la sfida per l’India concerne la capacità di contrastare l’aggressiva, ed estremamente efficace, penetrazione economica di Pechino. Nell’ipotesi però di un elevarsi del confronto-scontro tra USA e Cina, l’India, che ha sempre dimostrato di rifiutare la logica dei blocchi contrapposti, potrebbe ritagliarsi un proprio spazio. L’approccio agli investimenti indiano, volto ad un maggiore coinvolgimento dei contesti locali, potrebbe risultare vincente. La partita economica-energetica con la Cina si giocherà (e si sta già giocando) nell’ampia area che va dall’Asia fino all’Africa, ma si concentrerà, come detto, soprattutto nella regione del Grande Medio Oriente. Economicamente Nuova Delhi è indietro rispetto a Pechino, l’India però può contare su di un importante vantaggio rispetto alla Cina, consistente nel proprio sistema istituzionale. L’autoritarismo cinese costringe il dragone a mantenere alti tassi di crescita (e quindi massicci approvvigionamenti energetici), per mantenere stabile il paese. Il rischio della disgregazione è uno spettro sempre dietro l’angolo. La democrazia indiana, invece, ha già dimostrato più volte di essere in grado di assorbire e gestire le fortissime tensioni, derivanti dall’essere un crogiolo di etnie e religioni.

Dopo il 2014 un importante banco di prova per il soft power indiano sarà l’Afghanistan. Dal 2001 in poi, l’India ha progressivamente rafforzato i rapporti economici-politici con Kabul, ma il venire a mancare dell’ombrello protettivo nordamericano lascia aperte una serie d’incognite. Il suolo afghano è ricco di minerali, ma l’importanza di Kabul è soprattutto strategica. Come abbiamo visto nel discorso legato ai progetti di gasdotti, la posizione del paese al centro dell’Asia ne fa una fondamentale porta d’accesso alle risorse dei paesi dell’Asia Centrale ex-sovietici a nord e all’Iràn verso ovest. Rilevante da quest’ultimo punto di vista la costruzione da parte di una compagnia indiana della strada che in Afghanistan collega la città di Delaram a quella di Zarani, al confine con l’Iràn, a sua volta connessa al porto iraniano di Chabahar. La via rappresenta per l’India un’importante alternativa al transito attraverso il Pakistan. Bisogna dunque valutare come Washington gestirà il disimpegno e la potenziale instabilità a Kabul, la quale rappresenterebbe una minaccia comune alla sicurezza di tutti gli attori locali e non solo. Senza contare la forza destabilizzante legata al possibile ritorno al potere dei gruppi radicali islamici. L’India dovrà comunque, se intende mantenere una propria presenza in Afghanistan, prepararsi ad affrontare un probabile aumento di potere dei talebani, la fine della presidenza dello stesso Hamid Karzai, oltre che ovviamente la competizione con il Pakistan per l’influenza nell’area.


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