E i migranti continuano a morire…
Nella sua prima visita pastorale a Pantelleria Papa Francesco, appena eletto, ebbe a parlare della “globalizzazione dell’indifferenza”. Le parole immediate erano dirette, allora, alla triste situazione degli immigrati provenienti dall’Africa e che oggi riecheggiano ai miei orecchi pressanti da non poterle acquietare dopo i fatti recenti reiterati. Mi chiedo perché tanta indifferenza da più parti del mondo, soprattutto degli Stati più ricchi, verso altri popoli della terra che inesorabilmente muoiono di fame? Perché continua a persistere questa insensibilità verso coloro che affrontano il lungo deserto africano e, costretti, s’imbarcano sulle coste che si affacciano sul Mediterraneo (oltre 160mila solo nel 2014) per poi morire in questo grande grembo cimiteriale che tutti accoglie? Dove sono gli Stati Europei cosiddetti “sviluppati” se poi non si prendono cura dei minori, delle donne e di quei morti, così numerosi (solo nel 2014 sono stati 3400)?
Di fronte a un cinismo istituzionalizzato da parte di diversi Paesi e Governanti affiorano alla mente parecchie riflessioni. Ma l’uomo, ogni uomo, non è espressione di un tutto che è l’humanitas? E se lui è una piccola porzione, perché non “sentire” il grido che arriva dalla parte sommersa del suo essere? Come può l’uomo vivere la sua identità se in essa sono inglobati gli altri? Ricordo l’espressione di Juan Arias che scriveva: “Gli altri per noi sono un fatto viscerale e non programmato”. Significa che ogni uomo ci appartiene, è parte connaturata di noi stessi. Noi non scegliamo gli altri ma ciascuno di noi è, per il fatto di esistere, gli altri e gli altri sono noi. Se è così, come non capire che se c’è un solo essere umano che soffre o ha fame, noi ne siamo non solo responsabili ma è la nostra stessa umanità che si ribella? Se in una famiglia c’è un figlio che soffre, una madre e un padre possono essere felici? E se questa sensibilità c’è nella società primaria, perché non ci deve essere in quella secondaria?
Quello da più parti conclamato oggi, di un nuovo umanesimo, non è un modo moderno di guardare, interpretare, rispondere a una umanità rivisitata ma risponde a quell’interrogativo antico quanto l’uomo che Dio rivolge a Caino dopo il fratricidio: “Dov’è tuo fratello?” Questa domanda oggi è posta a ogni uomo della terra, a qualunque popolo, religione o etnia appartenga, perché ogni essere vivente non risponda “Sono forse io il custode di mio fratello?” ma replichi, come uomo maturo, colmo di razionalità, di sentimenti e di ogni responsabilità, che a lui, e solo a lui, compete, la messa in atto dei principi di libertà, di fratellanza, di solidarietà, di accoglienza. La felicità ci impone di non essere felici da soli e se sappiamo che c’è un lembo di umanità che non è felice, abbiamo l’obbligo morale di scovarlo per far emergere ciò che in lui si è deteriorato e non rende la sua umanità alla pari degli altri uomini. L’Europa dei popoli si costruisce prioritariamente nel rispetto delle Nazioni e di ogni singolo suo abitante. Fino a quando ogni essere umano non è libero nella sua dignità non si può parlare giammai di comunità di uomini ma solo esclusivamente di interessi.
SALVATORE AGUECI