Sono ormai trascorsi più di dieci anni dal caso che toccò a Vishal e Sonu, due giovani indiani, innamorati, barbaramente impiccati dai parenti. Vennero accusati di un amore impossibile perché non appartenevano alla stessa casta. Una sorta di Romeo e Giulietta in versione indù. Vishal (lui), della potente casta dei bramini; Sonu (lei), della più modesta casta degli agricoltori.
Se ne parlò molto e se ne fece un vero e proprio caso, peraltro giustamente; ma poco si disse che questi fatti in India non sono né nuovi…né rari. Soprattutto nell’India delle campagne, dove l’occhio dei giornalisti non sempre arriva.
L’India, nella mentalità dell’uomo occidentale contemporaneo, viene immaginata come un’incantevole terra dalle magiche ed affascinanti atmosfere. Si tratta di un fascino tanto diffuso quanto fondato su una grande ignoranza. Un esempio su tutti: molti occidentali si lasciano affascinare dalla reincarnazione non sapendo che essa non è un premio bensì una punizione.
Ma torniamo ai due giovani uccisi e chiediamoci: perchè l’Induismo impone una società divisa rigidamente in caste? La risposta è semplice: le caste sono in perfetta coerenza con la dottrina indù. Non sono una sorta di bubbone che si può recidere senza intaccare l’organismo, ma una struttura costitutiva delle credenze di questa cultura e di questa religiosità. Ciò può dispiacere a qualcuno, ma è così. Non si può pretendere di criticare le caste e poi, nello stesso tempo, ammirare l’Induismo.
Molti orientalisti dei nostri salotti radical-chic questa pretesa ce l’hanno, ma non ha senso, è illogica. Mi spiego: il fondamento della cultura indù è il monismo; la convinzione, cioè, che la realtà è fatta di una sola sostanza che si esprime differenziandosi. Gli induisti credono in un essere impersonale che costituisce questa unica sostanza, il brahman. Quando il brahman si individualizza diviene atman; ma rimane sostanzialmente brahman. Il monismo non solo causa la negazione del concetto di persona (intesa come realtà individuale e libera), ma anche la negazione di tutto ciò che è strettamente legato alla persona. Mi riferisco soprattutto alla libertà e alla dignità di ogni essere umano. Se esiste solo il tutto, l’individualità si annulla in un magma indistinto. Insomma, per l’Induismo l’individuo è solo una realtà apparente e momentanea, come l’onda che vien fuori dalla superficie del mare e poi si dissolve nel mare stesso.
Dal monismo consegue una visione fatalistica della realtà. Dal momento che il reale è uno e dal momento che non esiste spazio per l’individualità nè ontologico (cioè riguardo all’essere) né tantomeno pratico (riguardo alla morale), allora tutto ciò che si verifica va accettato così come è, perché espressione del brahman, in quanto tutto è brahman. Non esiste il negativo; anzi tutto deve essere considerato positivo. Se tutto è Dio, ogni avvenimento che si realizza è necessariamente buono, indipendentemente da cosa e da come si realizza.
L’uomo delle religioni orientali è costretto ad accettare il reale così come è e non può far nulla per modificarlo. La volontà di modificare delle situazioni figurerebbe solo come non convinzione che tutto è assoluto. Pensare: io non voglio accettare questa situazione perchè mi è ostile, vuol dire credere che sia negativa; e credere ciò, significherebbe che si possono realizzare contesti che non siano l’assoluto. All’uomo della religiosità orientale non è logicamente permesso di intervenire sulla dinamica del reale e della storia.
Dal monismo consegue anche la dottrina della reincarnazione. Il reale è uno e l’individualità un’illusione: l’uomo deve capire che è solo una scintilla che si è momentaneamente separata dal brahman; e la sua aspirazione deve essere quella di spogliarsi definitivamente di questa individualità illusoria, per tornare nuovamente ad essere una sola cosa con il brahman. Ma per far questo una sola vita può non bastare. Il ciclo delle continue reincarnazioni (il karman) serve come purificazione per poter raggiungere la meta ambìta dell’unificazione con il brahman.
E –veniamo al dunque- dalla dottrina della reincarnazione consegue la rigidità della società. Le caste indù sono l’esito di come si è vissuta la vita precedente. Vivere in una determinata casta può essere un premio o una punizione; ma –attenzione!- coltivare dei desideri di emancipazione sociale, significherebbe non voler accettare la legge del karman.
Ed ecco perché Vishal e Sonu furono puniti. Perché, con il loro amore, dimostravano di non voler accettare il karmAN.
Corrado Gnerre