Dunque per la Consulta «la determinazione di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile o infertile, concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali…». La scelta di formare un famiglia «che abbia anche dei figli» costituirebbe per la Corte Costituzionale «espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà che (…) è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Costituzione». In questa faccenda esiste però un convitato di pietra: il nascituro. Della sfera più intima ed intangibile di questa persona umana sembra che alla Consulta non importi un piffero. Eppure l’art. 2 della nostra mitica Costituzione dice che «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo». Il cosiddetto (ed inesistente) «diritto ad avere figli» consegna invece interamente una persona umana «alle determinazioni» di un’altra. La genitorialità non è più una custodia, ma diventa un possesso. Quello stesso Stato cui spesso tanto piace sovrapporsi alla famiglia, sanzionando sotto la propria augusta autorità il «diritto ad avere figli» (e il «diritto a non averli»), arriva paradossalmente a giustificare una sorta di dispotismo domestico di tipo pre-civile, clanico, tribale. E’ il vicolo cieco a cui porta il gioco intemperante delle determinazioni e delle autodeterminazioni, sorta di reificazione degli altri e di se stessi. Sull’emancipazione da questa reificazione si è fondata la civiltà cristiana ed occidentale. Le parole di Gesù: «se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino se stesso, non può essere mio discepolo», furono un ammonimento a liberarsi da essa, a smettere di considerare gli affetti come cose o possessi, ad amarli «nella verità», o per dirla con quella caricatura della religione che è la filosofia dei diritti umani, a riconoscere loro (e a se stessi) i diritti inviolabili dell’uomo.
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[RISPOSTA AD UN COMMENTO La potenzialità di fare figli non equivale alla certezza di averli. Il diritto di “provare a fare figli” (detto per inciso: che tristezza questi “programmi”) non equivale al diritto di averli: non tutti i modi sono leciti. La Repubblica tutela la salute nel senso del diritto a essere curato, mica del diritto di essere in salute! I diritti “inviolabili” non possono essere legati a concetti quantitativi o qualitativi! Questo vale anche per il nascituro, i cui diritti inviolabili non sono legati al suo stato di salute. Che sia sano o no non cambia nulla. Quanto ai “diritti del nascituro” è ovvio che fino a quando non è concepito il problema DAL SUO PUNTO DI VISTA semplicemente non si pone. Il problema esiste invece fin dall'origine per chi pone in atto azioni che oltre ad avere importanti effetti “collaterali” prima del concepimento del nascituro, comportano per una futura persona la conseguenza di subire la violenza di una nascita voluta a tutti i costi, una nascita voluta e non accolta. E' qui che la persona diventa cosa, creazione dell'uomo. Con tutto ciò questa persona non è diminuita in niente: che non si rimedi all'arbitrio con l'arbitrio!]
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