“AL GRUPPO 63 PREFERISCO L’UOMO SOLO SCIASCIA”
tratto dal Corriere della sera 7, 15 febbraio 2013
di Antonio D’Orrigo
Quando il giornalismo era il giornalismo e non la strana cosa che oggi è diventata, i giornalisti erano come Dante Matelli. Che ora ogni tanto mi scrive. Questa volta sul proliferare di celebrazioni e festeggiamenti sul gruppo 63 che, mezzo secolo fa presunse di rivoluzionare la letteratura italiana prendendosela con Giorgio Bassani e Carlo Cassola. Non ho granchè stima dei sessantatreisti e non deve averne neanche Matelli se scrive:”Ho sempre avuto il sospetto che, non rida la prego, a contribuire alla morte del gruppo 63 in Italia sia stato anche un avvenimento secondario, ma mica troppo: l’insegnamento obbligatorio dell’inglese nelle scuole, e la sua lenta ma tenace diffusione tra i lettori di romanzi e di poesie. Dopo un po’ furono comprensibili e disponibili in edicola (…) le riviste inglesi e americane (…) Piano piano si è capito da dove pescavano, e avevano pescato, gli avanguardisti per farsi avanti e scioccare lettori e ascoltatori: idee orecchiate, saggi parafrasati, imitazioni bambinesche di stili e stilemi, citazioni senza attribuire il credito… Fare un figurone buttando lì un nome in un articolo o in un intervento era sempre più difficile, specie quando si è scoperto che alcuni intellettuali del Gruppo, avevano una cognizione della lingua (e della cultura) anglosassone, poco più che turistica (…) C’è un altro aspetto. Il gruppo 63 ha teorizzato la fine del personaggio, l’opera aperta, l’ambiguità, l’inutilità della trama, la claustrofobia della frase di senso compiuto. Ebbene, l’opera più nota del gruppo (quel che è rimasto) è Il nome della rosa, con un personaggio centrale, una fine e un inizio, frasi lavorate (…) né più né meno dei tanti disprezzati Cassola e Bassani. (…)
Credo che il gruppo 63, con tutta l’aria di eleganza e di novità che si è data, non si sia distaccato molto dallo stereotipo di un certo tipo di italiano: atei-devoti, anarchici che si sposano in chiesa, puttanieri casa e famiglia, sfasciacarrozze che fanno carriera in rai. Umberto Eco li ha definiti una volta per tutte meglio di me: rivoluzionari che viaggiarono in vagone letto. Senza essere Lenin , aggiungo io”.
Fin qui, splendidamente, Dante Matelli (…) Dico la verità, il gruppo 63 mi ha sempre messo tristezza. Erano proprio i letteratini di cui parla Matelli. Quello che non fu mai Leonardo Sciascia. (…)
La natura dei miei racconti è sempre di natura saggistica. E i miei saggi hanno sempre una forma narrativa. (Sciascia). Una cosa che quelli del gruppo 63 forse avrebbero voluto essere e non sono stati. (…) La differenza definitiva tra Sciascia e il gruppo 63 è che a Sciascia ” importa più seguire l’evoluzione del romanzo poliziesco che il corso delle teorie estetiche”.