L'ingovernabilità odierna della Libia ha le sue spiegazioni storiche / Lo spiega l'ex-ambasciatore in Libia Claudio Pacifico

Creato il 04 agosto 2014 da Marianna06

     

Ambasciatore  in Libia fino al 2004, Claudio Pacifico,intervistato dall’agenzia stampa Misna chiarisce cos’era la Libia ieri e perché oggi la sua governabilità è fortemente a rischio.

Storicamente la Libia- precisa l’ambasciatore- come entità non è mai esistita sino alla occupazione coloniale italiana nel 1911, ma era divisa fino all’inizio del 900’ in due “Villayet” (governatorati), Tripolitania e Cirenaica, sotto il dominio dell’Impero ottomano, e in più  in un’ampia fascia desertica, il Fezzan, contesa da più parti.

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, la Libia ha trovato l’indipendenza sotto la guida di Re Idris.

La Libia è stata da sempre al centro di interferenze straniere, ambita per la sua posizione strategica e per le sue risorse petrolifere.

E’ rimasta soprattutto un grande crogiolo di “Cabile” ed etnie non amalgamate, di popoli molto diversi tra loro (arabi, berberi, arabi berberi, tuareg, tebù, beduini) che prima di 60 anni fa non si erano mai confrontati con i valori della modernità.

Insomma, la Libia è rimasta un mosaico estremamente fragile con una storia di popoli guerriglieri (fino al 900’) e con un background culturale molto lontano dal mondo occidentale e dai sistemi democratici.

 Il regime di Gheddafi, al potere dal 1969, con tutti i suoi limiti e le sue nefandezze era riuscito a creare un assetto unico, a stabilizzare la Libia e di conseguenza l’intera regione.

 Inevitabilmente il crollo del suo potere ha scardinato tutti gli equilibri interni e regionali. La sua dittatura, con le sue politiche visionarie e megalomani ma anche con i suoi risvolti brutali, ha tenuto insieme le varie anime, ha dato lavoro a una foltissima comunità di africani (stimati in 3,5 milioni su una popolazione totale di 5,5 milioni), riuscendo a produrre una certa ricchezza.

 Sul piano regionale e globale il potere di Gheddafi ha anche costituito, a suo tempo, una grande barriera nei confronti dell’islam radicale.

Questo dovrebbe indurci a riflettere  in merito alla superficialità con cui spesso i “media” nostrani, anche per ragioni di bottega (così vuole il padrone del giornale e/o dell’emittente) affrontano analisi critiche senza conoscenze adeguate di realtà lontane dai nostri contesti.

E ciò vale  per guerre e disordini come quelli in Iraq, Afghanistan, Siria e, ultimamente , a Gaza.

Troppe improvvisazioni,  insomma, nel tranciare giudizi.

 Occorre, semmai, maggiore ponderazione e studiare la storia.

E non fare come quel docente di mia conoscenza che ai ragazzini di scuola media, suoi alunni, ripeteva  di continuo che studiare la storia non serve.

E non serve- egli diceva- perché al supermercato non ti necessita certo per fare i tuoi acquisti a differenza della matematica.

Niente di più sbagliato se si opera questa elisione dalle nostre conoscenze.

Specie oggi nel mondo globalizzato della comunicazione immediata e grazie proprio alle nuove tecnologie, che hanno sì il supporto delle matematiche ma che non devono per questo ignorare le discipline umanistiche.

Pena il cianciare "aria fritta" e non fare il corrispondente.

   a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :