L’inizio della dittatura fascista
14 gennaio 2013 di Dino Licci
La marcia su Roma in una illustrazione dell’epoca
Dalla nascita dei primi “fasci combattenti” che ho descritto in un mio precedente intervento all’ascesa al potere di Mussolini, erano trascorsi poco più di tre anni. Il 28 Ottobre del 1922 alcune decine di migliaia di militanti fascisti si erano diretti verso la capitale (La marcia su Roma) rivendicando dal sovrano Vittorio Emanuele III, la guida politica del regno d’Italia, cosa che ottennero quando il re incaricò Mussolini di formare il nuovo governo.
E fino al 3 Gennaio 1925 Mussolini si era attenuto ad un sostanziale rispetto delle leggi democratiche all’interno di una coalizione che comprendeva i liberali e i popolari di don Sturzo ed anzi, nel 1923, gli furono concessi pieni poteri che avrebbero dovuto durare un anno, cioè il tempo necessario per risanare l’economia nazionale. Mussolini ottenne anche di più in vista delle elezioni che si sarebbero tenute nel ’24 e cioè una riforma della legge elettorale che prevedeva un sostanzioso premio di maggioranza per il partito che avesse ottenuto più voti. Tale riforma fu approvata prima da una commissione presieduta da Giolitti e quindi dai due rami del Parlamento.
In effetti non ci sarebbe stato neanche bisogno di tale espediente per conquistare la vittoria elettorale che fu schiacciante con oltre il 60 % dei suffragi in favore del partito fascista. Tale successo fu la risultante di diverse componenti fra cui l’inadeguatezza delle opposizioni imbrigliate in un clima pesante di brogli e violenze d’ogni genere, che soltanto Giacomo Matteotti denunciò col suo famoso discorso alla camera del 30 Maggio 1924. Il deputato socialista disconosceva, più volte interrotto dalle rumorose contestazioni che si levavano dai banchi del partito fascista, il risultato elettorale del precedente 6 Aprile e naturalmente Mussolini mostrò di non gradire tale appassionato intervento tanto che Matteotti , rivolgendosi ai suoi compagni di partito, pare abbia detto:
“ Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me.”
E infatti il 10 Giugno 1924 Mattetti fu sequestrato, malmenato e ad ultimo ucciso e seppellito nella “Macchia della Quartarella”, un bosco nel comune di Riano a 25 km da Roma dove sarebbe stato ritrovato soltanto il 16 Agosto dello stesso anno. La scomparsa del leader socialista suscitò grande sdegno tanto che si aprì una furiosa campagna contro il partito fascista che Mussolini cercò di arginare mostrando riprovazione e rabbia per quanto era avvenuto. Il clima era infuocato mentre si fecero varie ipotesi sulla responsabilità dell’accaduto. La verità si sarebbe scoperta soltanto molti anni dopo quando l’esecutore del delitto, certo Marinelli, segretario amministrativo del partito fascista condannato a morte dagli stessi compagni di partito durante i fatti della repubblica di Salò, scagionò completamente il duce addossandosi la responsabilità dell’accaduto. Ma intanto il fascismo rischiava di sfasciarsi sotto l’onda dell’indignazione generale che portò a numerose defezioni anche nell’ambito delle stesso partito.
Fu un colpo per Mussolini che cercava di mettere insieme la vecchia maggioranza del ’22 ed anzi, non fidandosi appieno dei popolari divisi al loro interno, aprì persino ai socialisti riformisti suscitando però, con questa mossa, lo sdegno dei fascisti più estremisti che si vedevano emarginati da questo comportamento moderato del loro leader. Il partito sembrava sfaldarsi pezzo dopo pezzo, persino D’Annunzio si allontanò dal partito mentre tutte le opposizioni approvarono un ordine del giorno col quale si dichiarava l’impossibilità, dopo il delitto Matteotti, di partecipare ai lavori della camera. I giornali delle opposizioni vendevano centinaia di migliaia di copie, i fascisti non si facevano vedere in giro, si cominciò a pensare al ritorno di Giolitti al governo o addirittura ad una dittatura militare capeggiata dal re.
Con l’opposizione sull’Aventino, Mussolini sospese l’attività parlamentare “sine die” mentre i sindacati dimostravano di essere disorganizzati, la borghesia delusa dal fascismo che si stava dimostrando essere una banda di malfattori, non trovava la forza di reagire, la stessa classe operaia, come riconobbe persino Gramsci, reagiva svogliatamente alla grave situazione che si andava creando, mentre i fascisti più intransigenti accusavano Mussolini di lassismo per i suoi reiterati tentativi di scendere ad un compromesso democratico con le opposizioni. Se l’opposizione nella sua totalità non avesse abbandonato i lavori parlamentari o se avesse avuto un progetto politico comune, forse avrebbe potuto trovare una soluzione parlamentare anche perché Giolitti, Fittoni, Salandra, Orlando dialogavano col re, che invece di profittare dello sbandamento fascista, tentennava aspettando le mosse di Mussolini, la cui posizione sorprendentemente migliorò con la fiducia accordatagli dal Senato il 26 Giugno a soli 15 giorni dalla morte di Matteotti. Considerando che anche Benedetto Croce votò per la fiducia e che la Camera alta era di nomina regia, se ne deduce che, nonostante tutto, neanche il re, come la maggior parte dei senatori, era veramente ostile al leader fascista. Nel rimpasto governativo che ne seguì, molti fascisti uscirono dal governo tra cui Giovanni Gentile mentre vi entravano dei liberali e un cattolico, uomo di fiducia di Pio XI, che osteggiava fortemente i socialisti, nemici della religione, favorendo invece chi aveva promesso una conciliazione tra Stato e Chiesa. La situazione sembrò normalizzarsi nell’ambito della legalità finché il 16 Agosto il cane di un carabiniere non trovò il corpo di Matteotti, la cui morte fino a quel momento semplicemente si sospettava. Il fatto comportò la nascita di tumulti talvolta così violenti da sfociare nell’assassinio di parecchi fascisti tra cui il deputato Casalini, ucciso proprio per vendicare la morte di Matteotti mentre i liberali abbandonavano il Governo e la Massoneria e gli industriali prendevano definitivamente le distanze da Mussolini.
Questi si trovò completamente isolato quando anche gli squadristi gli voltarono le spalle. Mussolini si era infatti adoperato a tenere a bada tali estremisti rivoluzionari istituendo una “milizia di volontari per la sicurezza Nazionale” alla cui guida mise appunto i capi squadristi che venivano così depotenziati delle loro velleità rivoluzionarie. Tenuti così a bada gli squadristi, Mussolini poteva anelare ad una normalizzazione del suo potere che doveva apparire come una continuazione delle tradizioni liberali. Ma ora tali frange estremiste non gradivano la moderazione del loro leader mentre anche l’esercito voltava le spalle a Mussolini, segno tangibile che Vittorio Emanuele III cominciava a spazientirsi dell’inattività di un’opposizione ancora ritirata sull’Aventino. Così isolato e con problemi di salute ( un’ulcera gli fu diagnosticata a posteriori), Mussolini cercò in ogni modo di raggiungere un compromesso con le opposizioni, ma il 31 Dicembre del ’24 i fascisti di Farinacci e i consoli della milizia fomentati dalle voci dissidenti di molti giornali, minacciarono una nuova marcia su Roma in termini assolutamente eversivi. In questo momento di caos col re, con le opposizioni ferme nelle loro posizioni di stallo e le minacce che gli venivano dalle sue stesse milizie, Mussolini colse la palla al balzo per una prova di forza che culminò col discorso alla camera del 3 Gennaio 1925. Il suo eloquio risuonò durissimo, convincente e minaccioso e fra gli applausi vivissimi prolungati, terminò con queste parole:
“L’Italia, o signori, vuole la pace, vuole la tranquillità, vuole la calma laboriosa. Noi, questa tranquillità, questa calma laboriosa gliela daremo con l’amore, se sarà possibile, e con la forza, se sarà necessario.”
Cominciò così un periodo dittatoriale che si sarebbe concluso soltanto dopo 20 anni. Furono abrogati i sindacati non fascisti, aboliti i partiti, abrogata la libertà di stampa, istituiti tribunali speciali per la sicurezza dello Stato, fu istituito il podestà di nomina governativa invece del sindaco eletto dal popolo e così via. I principi dello stato liberale sui quali si era mossa l’Italia fin dal 1961 non esistevano più, molti antifascisti furono imprigionati, altri furono costretti ad emigrare e soprattutto non si sarebbe più votato a meno che non si vogliano scambiare per votazioni i plebisciti cui gli italiani furono chiamati nel ’29 e nel ’34 semplicemente per avallare il consenso verso il duce. Così nacque la dittatura che, a breve,ci avrebbe trascinato nella tragedia della seconda guerra mondiale. Dino Licci