Il mio vicino di casa è un violento.
Anche se non ho le prove, sono convinto che picchia la moglie e maltratta i figli. Inoltre, non rispetta nessuna regola del vivere civile e distrugge il bene comune. Ho la certezza che non paghi nemmeno le rate condominiali e tra le quattro mura realizzi abusi di ogni tipo. Siamo tutti d’accordo, è un tipo disumano ma non sappiamo come fermarlo.
Ho denunciato questo «mostro» all’amministratore che – con la tipica, odiosa calma dei burocrati – gli ha inviato (tardivamente) una prima lettera di ammonimento alla quale non é seguito nessun ravvedimento.
Le azioni malefiche del folle continuano indisturbate. Sollecitato, è intervenuto anche il parroco del rione; i suoi appelli di pace e gli inviti alle preghiere sono stati raccolti dai credenti ma ben presto sono caduti nel dimenticatoio senza nessun effetto pratico.
Dopo un anno di inutili tentativi, nulla è cambiato ed il delinquente continua a maltrattare la famiglia ed agire indisturbato nel suo torbido privato.
Nessuna azione diplomatica ha bloccato il «mostro» ed oggi – in una infuocata riunione – l’intero condominio si chiede combattuto: è giusto utilizzare la violenza per fermare la violenza?
I falchi spingono per l’intervento del poliziotto di quartiere, un tipo abituato a riportare la giustizia con ogni mezzo. Pur di raggiungere l’obiettivo, non esita ad usare le manieri forti: “il fine giustifica i mezzi” è la sua ineluttabile regola. Se necessario è autorizzato anche all’uso delle armi (in questo caso, però, la responsabilità è solo sua e noi persone per bene lo lasciamo operare indisturbato preferendo non sapere).
Le rassicurazioni giungono puntuali: «l’intervento sarà breve e senza traumi per il condominio» promette il nostro giustiziere solitario. Le colombe sono in minoranza e – soprattutto – sconfitte dai fatti: nessuna azione pacifica ha avuto successo, non esistono alternative all’uso della forza.
Il poliziotto può agire, con buona pace di tutti.
MMo