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"Cara signora, I dati relativi alla ... sono chiari, ...
Invece i dati di ... non sono chiari. .... E' sicura delle sue misure?"
Allora, andiamo con ordine: 1. "cara signora". Secondo le consuetudini internazionali si diventa dottori dopo aver finito il dottorato; in Italia si assurge all'appellativo di dottore con la sola laurea. Ora, capisco che un prof, anche se italiano, preferisca seguire le norme internazionali ma, a questo punto, perché i miei colleghi "maschi" che ancora non sono Ph.D. vengono chiamati "Dottore Tal dei Tali" e non signori o signorini? E poi, che fine ha fatto il mio cognome? Il rivolgersi con un generico signora sminuisce ancora di più la persona che si ha di fronte. Capisco che non sono nessuno, me lo sento ripetere dai primi anni di università; "non sei la figlia di...", "non sei la fidanzata di...", "chi sei?". "Nessuno" (come disse Ulisse al Ciclope).
2. "E' sicura delle sue misure?". Io sono sicurissima delle mie misure. La stessa domanda andrebbe fatta agli strumenti e ai circuiti che compongono l'esperimento, non solo allo sperimentatore che per quanto possibile ce la mette tutta per riuscire a non fare cazzate. Gliel'ho anche chiesto più e più volte se sono sicuri dei dati che mi forniscono...purtroppo non mi hanno mai risposto (maleducati!). Il problema che affligge buona parte dei teorici è questo: partono da un determinato modello e si aspettano che la risposta di un materiale (in questo caso un dielettrico) sia di un certo tipo. Giusto! Il problema sorge quando la risposta che ci si attende, vuoi per i limiti dello strumento, vuoi perché lavori con grandezze dell'ordine del "nano", è afflitta da segnali di disturbo...eh, purtroppo succede. Non c'è nulla di strano in quello che si misura, i risultati attesi ci sono, al di là della cortina fumogena creata da ciò che banalmente viene definito rumore. Mi chiedo se a quello sfortunato gruppo di ricercatori che pensava di avere a che fare con i neutrini superluminali qualcuno si è mai permesso di chiedere: "siete sicuri delle vostre misure?".
3. Ho notato, nei miei non tantissimi anni di esperienza, che i professori e i ricercatori da nord a sud hanno un'altra strana abitudine (non vorrei esagerare ma pare che questa cosa si estenda al 70% del genere maschile). Nel momento in cui ti rispondono ti dicono sempre cose del tipo: "sono molto impegnato", "fino al 30 del prossimo mese devo fare questa cosa", "non so cosa toccare per primo" e via di seguito. Dato che nessuno dice niente e nessuno si lamenta mai di niente, come mai vengono aggiunte queste disperate affermazioni di sovraccarico da lavoro non richieste che senza offesa, suonano un pò come se si volessero mettere le mani avanti?
Ho una richiesta, anzi no, data la mia pochezza vorrei esprimere una preghiera con tutta la dovuta umiltà di chi non conta niente. Se potete, evitate di parlare sempre dei vostri impegni o di quanto siete presi da tutto quello che il vostro lavoro vi impone di fare. Perché vedete, le persone che stanno dall'altra parte raramente si fermano a pettinar le bambole e, le "signore" o "signorine", non stanno sedute accanto a una finestra, con un ricamo sul grembo, sospirando e aspettando che qualcuno le degni di un minimo di attenzione.
La giornata tipo dell'inutile persona che sta dall'altra parte è questa:
1. nove ore di laboratorio
2. tre/quattro ore da suddividere fra studio, lettura di articoli e ricerche varie
3. a volte si dorme e si mangia
4. una casa va pure tenuta in ordine
5. anche se non si hanno mariti e figli c'è sempre una famiglia che richiede un minimo di attenzione...e forse anche degli amici.
Tirate voi le somme.
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