Kundera ha potuto far uscire questo libro nella sua patria, la repubblica ceca, soltanto 17 anni dopo la pubblicazione in Francia, dove si rifugiò dopo la primavera di Praga. Ma non vi tedierò con la biografia dell’autore – che sono certa già conoscete, o potrete intuire, e che si rispecchia in alcuni tratti della vita dei personaggi (l’esilio, la rinnegazione del partito, il doversi ridurre a fare lavori umili). Il Kundera reale, quello in carne e ossa con la sua vita e i suoi conti, qui non ci interessa; nel romanzo, la sua voce è un personaggio a parte, che spesso monologa e commenta, perdendosi in parabole ipotetiche di “se” e “ma”, ironizzando beffardamente sulla leggerezza delle decisioni e sulla pesantezza delle azioni e viceversa, umanamente coinvolto e pacificamente distaccato, meritando infine pari attenzione di quella dedicata ai personaggi-attori.
Tomas e Tereza, Sabina e Franz, il famoso “quartetto di Praga”, delle loro vite e dei loro conti, di questo sì, invece, che ci interessiamo. La narrazione, contrariamente alla vita, procede in modo completamente scoordinato e atemporale. Kundera mescola episodi del prima con episodi del poi, annuncia la morte di alcuni e continua a parlare di momenti in cui erano perfettamente vivi e vegeti, come se noi lettori stessimo lì, a guardare e discutere di una fotografia, sulle pagine del libro. Cosa che non fa che incrementare la nostalgia di cui è intriso il romanzo. A scandire i passaggi da una memoria all’altra ci sono le tante divagazioni filosiche – da Parmenide a Nietzsche -, che, secondo alcuni, hanno reso unico e inconfondibile lo stile del romanzo; secondo altri, eletto il libro a mattone insostenibile. Che gira tutto intorno alla domanda metafisica “cos’è la vita?”, cui scaturisce subito la domanda “esiste il destino?”, seguita naturalmente da “ma le coincidenze sono opera del fato?”. Difatti: “Non si può mai sapere che cosa si deve volere perché si vive una vita soltanto e non si può né confrontarla con le proprie vite precedenti, né correggerla nelle vite future. [...]. Non esiste alcun modo di stabilire quale decisione sia la migliore, perché non esiste alcun termine di paragone. L’uomo vive ogni cosa subito, per la prima volta, senza preparazioni. Come un attore che entra in scena senza avere mai provato. Ma che valore può avere la vita se la prima prova è già la vita stessa? Per questo la vita somiglia sempre ad uno schizzo. Ma nemmeno “schizzo” è la parola giusta, perché uno schizzo è sempre un abbozzo di qualcosa, la preparazione di un quadro, mentre lo schizzo che è la nostra vita è uno schizzo di nulla, un abbozzo senza quadro.”
Insomma, resteremo per sempre degli esseri pieni di domande senza risposta, che non sapranno mai se era meglio fare così invece che fare cosà; oppure, possiamo rassegnarci ad accettare l’imperativo dell’es muss sein, del così deve essere, che sia esso stabilito dal caso, da dio oppure dal nostro cervello determinista (e consiglio, a chi crede che quest’ultima sia la scelta più razionale e sicura di leggere qui). In fondo, la domanda metafisica è anche senza peso: perché, ad ogni modo, non potremo mai sapere qual è la verità. Il che tutto sommato, o per ironia della sorte, ci fa sentire incredibilmente più leggeri.
Azzurra Scattarella
Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, Adelphi, 1985, € 20