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Tra arte e tragedia. Sessant'anni di premi di fotogiornalismo

Creato il 23 maggio 2015 da Gaetano63
Tra arte e tragedia. Sessant'anni di premi di fotogiornalismoLa cosa più importante è stare dove le cose accadono. Così un fotoreporter ci aiuta a comprendere il mondo in cui viviamo


di Gaetano ValliniHa ancora senso premiare le fotografie che meglio di altre descrivono avvenimenti di cronaca? C’è da chiederselo perché ormai, dopo ogni premio, non mancano le polemiche: si è data troppa importanza all’aspetto estetico, si è evidenziata eccessivamente la drammatizzazione della scena, è stato manipolato qualcosa per rendere migliore il risultato. Difficile dare una risposta. Fatto sta che negli ultimi decenni si è consolidata la prassi di bandire concorsi per assegnare riconoscimenti ai fotoreporter che si sono distinti nel raccontare il mondo che ci circonda. Tuttavia forse oggi più di ieri, in un universo mediatico in cui i video stanno prendendo sempre più vantaggio rispetto alle fotografie, ma anche in un momento in cui per contro la fotografia ha raggiunto un livello di popolarità decisamente alto, questi premi si presentano come un tributo al lavoro spesso non facile del fotoreporter. Figura peraltro messa in crisi dalle crescenti difficoltà dei media a finanziarne le missioni e dall’inarrestabile ascesa dei social network, alimentati da milioni di foto riprese dagli onnipresenti smartphone, che non di rado danno conto in presa diretta di alcuni fatti di cronaca anche importanti. Emblematico quanto accaduto durante le cosiddette primavere arabe. Tanto che oggi  più che in passato tali riconoscimenti sembrano più utili per farsi un nome e iniziare una carriera piuttosto che per coronarla. 

Tra arte e tragedia. Sessant'anni di premi di fotogiornalismo

Milton Rogovin, da «Family of miners» (Appalachia 1987)
In alto: Catherine Lorey, «Combattenti palestinesi in una strada di Beirut» (1976)

Alcuni premi sono più prestigiosi di altri e Roberto Koch ne ha scelti cinque, i più longevi e importanti — il World Press Photo, la Robert Capa Gold Medal, l’Oscar Barnack Award, il premio intitolato a Eugene Smith e il Visa d’Or che si assegna ogni anno a Perpignan — per rendere omaggio ai tanti che con coraggio, passione e capacità di interpretazione ci hanno raccontato da vicino la storia più recente. Lo ha fatto scegliendo le immagini vincitrici tra il 1955 e il 2014, raccogliendole nel volume The Gold Medals (Roma, Contrato, 2015, pagine 407, euro 29), una sorta di atlante storico illustrato degli ultimi sessant’anni.Il libro è strutturato in sei sezioni che corrispondono ad altrettanti decenni, rispettando l’ordine cronologico, ma andando a ritroso. Ogni decade è introdotta da un testo scritto da alcuni tra i più noti photo editor internazionali: Monica Allende, Elisabeth Biondi, Giovanna Calvenzi, Christian Caujolle, Aidan Sullivan e John Morris. In ogni sezione, anno dopo anno, si susseguono le immagini premiate, con un breve testo descrittivo e la biografia del fotografo. E i nomi sono importanti. Impossibile citarli tutti, ma tra essi compaiono quelli di Paolo Pellegrin, Gianni Berengo Gardin, James Nachtwey, Sebastião Salgado, Steve McCurry, William Eugene Smith, Nick Ut, Josef Koudelka, Eddie Adams, Don McCullin. Si va dalla fotografia di Mads Nissen, vincitrice dell’ultimo World Press Photo, che riprende due giovani di San Pietroburgo in un momento di intimità,  alla prima immagine premiata nel 1955 nello stesso concorso, scattata da Morgen von Haven e ritraente un centauro disarcionato dalla sua moto durante una gara in Danimarca, passando per i principali fatti storici dalla seconda metà del secolo scorso a oggi: la guerra del Vietnam, la primavera di Praga, il colpo di stato in Cile, il conflitto libanese, la rivoluzione iraniana, le rivolte in Irlanda del Nord, Piazza Tienanmen, le conseguenze della caduta del Muro di Berlino, il conflitto nell’ex Jugoslavia,  la prima e la seconda guerra del Golfo, quelle in Cecenia e in Afghanistan, lo tsunami nell’Oceano Indiano, la questione israelo-palestinese, la tragedia degli immigrati nel Mediterraneo, la crisi in Ucraina.   «Negli ultimi 60 anni, i fotoreporter hanno testimoniato gli avvenimenti storici fornendo un’antologia visiva della nostra storia contemporanea — scrive Koch nell’introduzione — che è quella che si è impressa, a volte in modo indelebile, nella nostra memoria. Questo libro nasce dal desiderio di offrire al pubblico una rassegna di molte tra queste immagini concentrando l’attenzione sui premi nati espressamente per il fotogiornalismo cercando di dare conto anche del lavoro che le giurie, sempre di livello internazionale, hanno svolto nel premiare una immagine, confermare il valore di una ricerca, riconoscere la forza di una nuova visione». E forse non è male rammentare quanto Cristian Caujolle, da presidente della giuria del World Press Photo, dice spesso ai suoi colleghi:  «Stiamo giudicando la miglior foto dell’anno, non la miglior tragedia». Di per sé non è semplice separare le cose: la tragedia che si sta consumando e l’emozione che porta con sé  dalla capacità tecnica di coglierne l’elemento più rappresentativo ed evocativo. Ma al di là di ciò,  questi premi, come sottolineato da Michele Smargiassi chiamato a presentare il volume, forse una ragione di esistere ce l’hanno: costringerci a ripensare il significato di una cosa che in centottant’anni ha cambiato continuamente di senso, ovvero la fotografia come testimonianza sul mondo. Così com’è cambiata, oltre al passaggio dirompente dal bianco e nero al colore, l’idea che il fotoreporter ha del proprio mestiere, che oscilla sostanzialmente dal dovere della testimonianza e della denuncia alla presentazione nuda e cruda dei fatti lasciando a chi osserva l’onere del giudizio.  In ogni caso, qualunque sia la molla, vale sempre la regola principe: per un fotoreporter la cosa più importante è essere lì dove le cose accadono, a volte anche a rischio della vita. Solo così, mostrando ciò che egli solo può vedere per noi, potrà continuare ad aiutarci a comprendere il mondo in cui viviamo.


(©L'Osservatore Romano –  24 maggio 2015)

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