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L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DI NICK DRAKE #nickdrake #folk #pinkmoon

Creato il 11 maggio 2013 da Albertomax @albertomassazza

nick drake

Tre album ufficiali, l’abbozzo di un quarto, qualche inedito ritrovato fortunosamente, sporadiche esibizioni live prive di documentazione, sia audio che video: la parabola artistica di Nick Drake è tutta in queste povere cifre, capaci di racchiudere comunque gemme inestimabili . Un genio sommerso che solo dopo la morte ha iniziato a raccogliere consensi ampi.

Nato a Yangon, in Birmania, dove il padre ingegnere si era trasferito per lavoro, Drake trascorse infanzia e adolescenza a Tanworth in Arden, villaggio dell’Inghilterra centrale tra Birmingham e Stratford upon Avon, la città natale di Shakespeare. Probabilmente, fu proprio l’atmosfera bucolica, impreziosita dall’iniziazione alla musica e alla letteratura, sotto l’amorevole guida della madre, a generare quella propensione alla depressione che si manifesterà quando, da studente e da musicista, Nick si ritroverà da solo, in ambienti meno idilliaci, a cercare di guadagnarsi, senza compromessi, un riconoscimento artistico che gli verrà dato solo dopo la precocissima morte, come aveva cantato profeticamente in Fruit Tree :

La fama non è che un albero da frutto/Così gravemente malato/Non potrà mai fiorire/Finché il suo fusto è piantato al suolo/Per questo grandi uomini/Non riescono a trovare una strada/Finché il tempo non è volato/Lontano dal giorno della loro morte.

A Cambridge, al College, Nick si distinse nelle materie umanistiche e nello sport, fece esperienza con gli stupefacenti e iniziò a suonare con alcuni compagni, proponendosi nei locali frequentati dagli studenti, dove venne notato da Ashley Utchings, bassista dei Fairport Convention, band capofila del folk-rock inglese. Hutchings inizialmente gli ritagliò degli spazi all’interno dei concerti della band e, successivamente, gli procurò un’audizione con il produttore Joe Boyd che, rimasto folgorato dai brani del giovane cantautore, lo mise sotto contratto.

Così, alla fine del 1969, Drake incise il suo primo disco, Five Leaves Left , 10 brani sospesi tra disperazione e ironia (il titolo fa riferimento al foglietto delle cartine da tabacco, ad indicare le ultime 5 rimaste), disagio e armonia, magia e presagio di tragedia. Nonostante l’ottima fattura compositiva e produttiva, anche grazie all’apporto di ottimi musicisti, il disco ebbe un riscontro commerciale pressoché nullo. Gli intrecci armonici e melodici della chitarra e della voce di Nick risultarono probabilmente troppo aulici per il gusto comune e riscossero appena qualche attenzione dalla critica. A complicare le cose, la totale inadeguatezza di Drake in fase promozionale, profondamente a disagio sia nei concerti nelle sale rumorose e dispersive, che nelle interviste vacue e convenzionali.

Ciò nonostante, tale era la fiducia di Boyd nel talento del giovane cantautore, che l’anno successivo venne prodotto il secondo album, dal titolo ancora una volta ironico:  Bryter Layter,  storpiatura dell’espressione meteorologica “brighter, later” (più tardi, schiarite), velo sottile di umorismo macabro, steso sulla consapevolezza del proprio tragico destino. Ancora dieci brani  con gli stessi ingredienti del precedente, ma ognuno con la propria peculiarità. Ancora ottimi musicisti, tra i quali alcuni membri dei Fairport e John Cale, leggendaria viola elettrica e polistrumentista dei Velvet Underground. Ancora indifferenza del grande pubblico. Quindicimila copie vendute e qualche attenzione in più dalla critica il modesto risultato che fece si che Boyd, approfittando di contatti in California, si tirò fuori, garantendo comunque il contratto con la Casa discografica.

La partenza del suo mentore fu un colpo duro per Nick e, unitamente allo scarso successo, contribuirono ad un salto di qualità della sua naturale propensione alla depressione. Tentò una reazione  radicalizzandosi, piuttosto che cercare una parziale commercializzazione. L’unica concessione alla moda fu il titolo psichedelico del terzo album, Pink Moon , sintesi minimalista (anche nella durata, meno di mezz’ora) dei lavori precedenti, solo chitarra e voce, a parte una piccola sovraincisione di piano, suonato dallo stesso Drake. Un album destinato a divenire una pietra miliare del cantautorato internazionale e punto di riferimento imprescindibile per generazioni di chitarristi acustici, ma che, nell’immediato, ottenne riscontri ancor più modesti dei precedenti.

Per il labile Nick era traboccato il vaso. Abbandonò Londra e ritornò dai suoi, a Tanworth. L’equilibrio psichico si fece progressivamente più precario, tanto da portarlo a mettersi in cura e a iniziare trattamenti con farmaci antidepressivi. Un ultimo tentativo di rialzare la testa, pochi mesi prima di morire. Incise, alla presenza del rientrato Boyd, quattro brani, ma le sue condizioni psicofisiche non gli consentirono neanche di coordinare voce e chitarra, costringendolo a registrarle separatamente. La mattina del 25 novembre 1974, la madre lo trovò cadavere nel suo letto, per un eccessivo dosaggio di un antidepressivo. Aveva appena 26 anni.




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