Prima o poi i nodi vengono al pettine. E così, la reazione antinuclearista alla tragedia di Fukushima inizia a produrre le proprie conseguenze. Che sono soprattutto economiche, almeno a giudicare da quanto emerge da uno studio commissionato alla società di ricerca R2B, specializzata in tematiche energetiche, dalla Bundesverband der Deutschen Industrie (BDI), ovvero la Confindustria tedesca.
La decisione del governo tedesco di chiudere le centrali nucleari farà sì che il prezzo dell’elettricità potrebbe aumentare del 30%.
Lo studio ha preso in esame uno scenario molto realistico, in base alle dichiarazione del cancelliere Angela Merkel: la chiusura definitiva degli 8 reattori tedeschi al momento già fermi, fra cui i 7 più vecchi, e lo spegnimento dei restanti 9 reattori entro il 2017.
In queste condizioni, nel 2018 il costo all’ingrosso di un MWh salirebbe a 70 euro: il 30% in più rispetto ai 54 euro previsti nello scenario prospettato dal governo nel 2009.
In tutto, fino al 2020, il costo aggiuntivo sarà di 33 miliardi di euro, di cui 24 a carico delle aziende commerciali e industriali. Se poi si comprendono anche gli incentivi per le fonti rinnovabili e le spese per l’aggiornamento delle infrastrutture la cifra sale a 51 miliardi di euro.
E non finisce qui, perché anche dal punto di vista ambientale il costo sarebbe elevatissimo:
nel 2018 le emissioni tedesche di anidride carbonica aumenterebbero fino a 282 milioni di tonnellate, il 28% in più rispetto agli obiettivi del governo.
Dati che destano una certa impressione, e che faremmo bene a tenere nella dovuta considerazione. La moratoria decisa dal governo italiano ci permetterà di affrontare la “questione nucleare” ponderando bene tutti i pro e i contro, senza lasciarci travolgere dall’emotività che inevitabilmente i fatti giapponesi hanno provocato. E andando verso un futuro in cui la crescita economica mondiale sembra sempre più in dubbio e le fonti energetiche sempre più preziose, non possiamo proprio permetterci di fare la scelta sbagliata.