Si è vero, la Russia ha gli S 500 di fronte ai quali i patriot americani sono roba da comprare al negozio di modellismo, ha il Topol M, il missile più veloce del mondo che può incenerire qualsiasi obiettivo in una manciata di minuti senza alcuna possibilità di difesa, ha l’ SS18 il più potente razzo balistico in circolazione con la capacità di portare 1o bombe H ciascuna destinata a un obiettivo diverso, ha sottomarini nucleari (costruiti assieme alla Cina) in grado di eludere la sorveglianza anche a distanza molto ravvicinata e scaricare come e quando vogliono il loro carico di morte. E infatti tutti i giochi di guerra fatti dal pentagono negli ultimi due anni, partono da una superiorità Nato sulla carta, ma giungono come risultato a una vittoria russa.
Però la vera arma segreta di Mosca è Putin che ha reagito con tempismo e astuzia al tentativo di risucchiare l’Ucraina nel cono della Nato ed è poi passato al contrattacco in Siria, mettendo l’alleanza atlantica di fronte al suo stesso caos. Non è certo che zar Vladimir sia uno statista illuminato o più intelligente dei suoi avversari, ma è semplicemente uno che viene dai servizi segreti, ossia da quelle organizzazioni che ormai hanno ramificazioni ovunque, persino in molte associazioni dette umanitarie e hanno assunto un peso determinate nelle decisioni delle elites politiche da quando queste ultime non rappresentano più nessuno se non i gruppi di potere economico e finanziario.
Del resto esiste pure un ragione per la quale spioni e controspioni hanno assunto la fausta denominazione di intelligence; un po’ per giocare le opinioni pubbliche presumibilmente restie a dare eccessivo credito a tesi e notizie provenienti dal sistema spionistico, ma semanticamente più inermi se qualcosa ha a che fare con l’intelligenza; un po’ per marcare il ruolo centrale e più politico assunto dai servizi segreti dentro una geopolitica dove i grandi gruppi di pressione hanno assunto la parte di protagonisti.
Putin conosce a memoria tattiche e strategie dei suoi avversari, sa leggere le mosse più di quanto non possano farlo le elites occidentali e fa le sue contromosse, scioccamente interpretate dai media occidentali. Quando ha accennato alle armi nucleari da usare contro l’Isis era chiaro che avvertiva la Turchia e la Nato a non pensare nemmeno per un momento di chiudere i Dardanelli o quando ha lodato, sia pure in modo abbastanza vago e in certo senso fuori onda, il candidato Donald Trump, lo ha fatto per spostare verso il basso il livello di russofobia dei candidati più accreditati e destare sconcerto proprio nei servizi che certo vorrebbero un presidente più guerriero che politico, ma che sono di fatto i tessitori della politica anti russa. Senza dire che un pragmatico selvaggio alla Casa Bianca farebbe molto più comodo a Mosca di ciechi reazionari come Ted Cruz personaggio che soffre della feroce sindrome di integrazione dell’immigrato “speciale” oltre che essere tra i fortunati vincitori della lotteria anticastrista tra le famiglie in vista dell’apparato di Fulgencio Batista. Insomma rappresentante di una certa idea dell’America che ne sintetizza il peggio, ovvero l’interventismo e l’eccezionalismo di marca democratica coniugato al reazionarismo del Tea Party.
Certo non occorre chissà quanta astuzia per comprendere che Putin fa il suo gioco anche quando parla delle elezioni americane e che di certo non loda Trump in quanto candidato antropologicamente più vicino, come nella tesi a giornali unificati. Ma andare oltre significherebbe mettere in luce la povertà della politica americana, la sua dipendenza da altri interessi e/0 dagli assunti imperiali che la determinano. Per questo Putin ha un vantaggio decisivo nella partita a scacchi, anticipare e condizionare le mosse dell’avversario molto più di quanto non possano fare le elite occidentali che devono ricorrere a vari piani di manipolazione tra l’azione e la sua giustificazione, tra la realtà e l’immagine.