Quando si consiglia un libro di un autore che si ama molto, ci si sente in dovere di iniziare una sorta di panegirico su quell’autore, una sorta di “dovuta” apologia. Una predicazione porta-a-porta. Almeno è così che succede a me, ed è anche il motivo per cui sono spesso reticente nello scrivere degli autori che più apprezzo.
Per cui farò così… salto l’elogio di Peter Cameron. Per due semplici motivi:
1) se già lo conoscete e amate, o al contrario non lo potete soffrire, sapete già che prendere in mano un suo romanzo sarà come rientrare in una casa garbata e confortevole, arredata con gusto minimalista ma senza lasciare nulla al caso. Sapete già che vi incanterete a osservare i chiaroscuri sulle pareti e gli oggetti, i movimenti semplici delle mani, il pulviscolo in un fascio di luce. Un’eleganza narrativa che ti fa sentire in disordine. Il weekend sarà un amico leale, in tal senso;
2) se non conoscete Peter Cameron, non voglio spingervi a conoscerlo con Il weekend. Leggete le mie righe, se vi va, ma se vi capita, piuttosto prendete in mano quella meraviglia che è Un giorno questo dolore ti sarà utile, o trascorrete una serata estiva all’aria aperta leggendo Quella sera dorata.
Il weekend, infatti, non è il miglior romanzo di Peter Cameron. A dire il vero, non è nemmeno il suo ultimo lavoro: nonostante sia arrivato in Italia nel 2013, risale al 1994.
Racconta due giorni, e il passato che li carica di tensione. Due giorni in una ricca casa in campagna, il pretesto per svelarci gli errori, il dolore, le ipocrisie di un gruppo di persone legate dall’affetto. La trama, grossomodo, è questa: il ritrovarsi dei protagonisti a circa a un anno dalla morte di Tony, compagno di Lyle, amico e fratello dei padroni di casa. E ora accanto a Lyle c’è Robert, giovane pittore conosciuto da poco, che pare un respiro d’emozioni dopo una specie di anestesia.
Non è il capolavoro di Cameron, eppure è una lettura che, col suo modo consueto e garbato, lascia il segno. Forse proprio perché il modo di raccontare di Peter Cameron ti costringe a lasciarti andare al silenzio, ai pensieri sottili, all’osservare le sfumature e i dettagli, al soffermarti su ogni scena. La lente d’ingrandimento sui rapporti umani. Forse perché la sua forte sensualità, molto maschile eppure delicata, ti incanta.
Mi piace come i corpi in questo modo di descrivere siano centrali: carezze, tocchi delicati, mani sulle schiene. Sfiorarsi che paiono un desiderio trattenuto di aggrapparsi, di cercare sostegno. Un tocco al risveglio di Lyle che cancella all’improvviso la consapevolezza che Tony sia morto. Un abbraccio tra due amici che non sono riusciti a esprimere il dolore. Robert che si tende verse Lyle, che lo guarda. Un bambino appena nato che accetta passivamente le attenzioni.
Tante volte, crescendo, la fisicità diviene tanto importante quanto complessa. Un abbraccio tra amici è qualcosa che mi paralizza, mi mette a disagio; ma sono in grado di ricordare il peso esatto di una carezza apparentemente casuale.
Deve essere questa forza personale e intima che fa sì che mentre leggi ti senti parte del microcosmo ricreato. Che tu possa ritrovare un po’ di te, un’emozione inespressa. E’ evidente, leggere dell’amore (e delle sue complessità) e della morte è una delle cose più dolorose. E Il weekend è questo, senza però patetismi, strilla, melodramma. Ma non è “solo” questo. Peter Cameron riesce a raccontarti all’apparenza niente e insieme tutto. Senza giudizi e risposte, ma con una sorta di quieta rassegnazione verso le costanti tensioni e incomprensioni che si intrecciano agli affetti.
“Bellezza” mi pare sempre un termine controverso per descrivere un romanzo. Dopotutto, pure piuttosto banale. E allora per descrivere un romanzo che si può utilizzare?
Forse quello che rimane dopo, dopo la forza catartica ed emotiva delle sue pagine, le sensazioni più immediate. Quando ti accorgi di averlo letto tutto d’un fiato e che ti senti scombussolato, inquieto, vulnerabile, vacuo. Il pulviscolo vibrante nel fascio di luce s’è andato a posare in tutti gli angoli.
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Il weekend,
Peter Cameron
Adelphi
2013, 177 pagine