“l’intera Sicilia è una dimensione fantastica. Come si fa a viverci senza l’immaginazione?” (Sciascia)

Creato il 06 giugno 2014 da Goodmorningsicilia

Irene Di Liberto

Ricordo che quando ero “picciridda”, il rito settimanale più solenne per la famiglia era il pranzo domenicale. Ci si ritrovava in questo particolare momento di aggregazione e si parlava del più e del meno, parlando e litigando con gli altri cugini. Anzi, sarebbe meglio dire, che noi parlavamo; gli uomini (padri, zii e nonni) poco, l’indispensabile. Centellinavano le parole a tal punto che per chiedere qualsiasi cosa, pane, acqua, frutta, sale o aceto, si limitavano ad alzare il dito indice della mano destra e dirigerlo verso l’oggetto desiderato.
Così, io, mia madre, i miei cugini e le mie zie, talvolta con un certo sadismo, facevamo finta di non comprendere cosa volessero e loro, irritati, continuavano a non parlare, ma nervosamente e con strani mugugni provenienti dalle viscere riprendevano a sventolare le loro dita indicatrici, per poi cedere esausti e gridare: “l’acquaaa….”
Il linguaggio gestuale dei siciliani presenta un repertorio molto ricco di gesti simbolici: segnali intenzionali che possono essere tradotti direttamente in parole; tra questi gesti simbolici ve ne sono alcuni (scuotere la mano in segno di saluto, indicare, chiamare) talmente espliciti da sostituire il contenuto della comunicazione verbale.
In ogni caso, usata per integrare il linguaggio parlato o per negarlo, la gestualità è legata alla struttura mentale del siciliano, al suo personalissimo modo di percepire il mondo.
Spesso si fa riferimento al linguaggio dei gesti per realizzare la comunicazione maschile: non è raro, infatti, che gli uomini, più delle donne, usino riferirsi ad una simbologia specifica che evoca campi diversi del quotidiano, come ad esempio la sessualità, la fortuna o la sfortuna, la religione…

Noi siciliani siamo famosi nel mondo per comunicare attraverso i gesti. Accompagnare un pensiero con l’aiuto delle mani, è insito nel nostro DNA, ma la spiegazione è soprattutto storica e si deve ricercare nei rapporti commerciali dell’isola con i popoli dell’aerea mediterranea orientale. La grande varietà di lingue e popoli ha infatti favorito l’uso del gesto per comprendersi meglio.
Anche Pitrè si occupò della gestualità siciliana in: “Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano” (1889) riportando una leggenda che narra di un re straniero che arrivato in Sicilia, volle verificare la capacità dei siciliani di dialogare senza parole. Mise alla prova due sudditi che riuscirono a intendersi perfettamente senza emettere alcun suono. Con i gesti è innegabile che si voglia esprimere maggiore forza alle proprie emozioni, entrando nello spazio vitale del proprio interlocutore, arrivando persino a toccarlo. La teatralità dei siciliani è anche la loro forza intrinseca perché è un modo per esprimere la capacità creativa.
E pure il linguaggio mafioso è ricco di messaggi gestuali. Giovanni Falcone ricordava infatti che l’interpretazione dei segni, dei gesti e silenzio costituisce una delle attività principali dell’uomo d’onore. Tutto è carico di significati nel linguaggio di Cosa Nostra.
Esempi della gestualità siciliana li ritroviamo ne “La patente” di Pirandello: corna, scongiuri vari, toccatine sotto la cinta, fanno da sfondo a questa novella.
Diceva Sciascia che “l’intera Sicilia è una dimensione fantastica. Come si fa a viverci senza l’immaginazione?” Allo stesso modo, come immaginare i siciliani privi della loro gestualità, delle manie, del loro modo si esprimersi, senza i quali è impossibile intravederne vizi, virtù e passioni.

Irene Di LIberto


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