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L’Intervallo o della Quotidianità (Sognata): l’Educazione ai Tempi della Camorra

Creato il 29 ottobre 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
L’Intervallo o della Quotidianità (Sognata): l’Educazione ai Tempi della Camorra

È mattino. Un altro giorno irrompe su di una città, grande ammucchio di case e colori. Dovrebbe forse dare un senso di libertà – lo spazio aperto, per nulla ristretto all’inquadratura di una via o situazione – e invece no. Siamo fuori ma dentro ad una gabbia ed i suoi uccelli sono come quei cardellini che pendono dai soffitti di molte abitazioni che «anche se gli apri la porta non fuggono [...] Forse sono tentati di volare via, ma non trovano il coraggio». Siamo dentro un giorno qualsiasi, a Napoli.

Così, Leonardo Di Costanzo ci introduce nel suo primo lungometraggio, L’intervallo. Se esiste ormai una rappresentazione quasi stereotipata della camorra, che si rifà cioè ad un immaginario ben collaudato – gli abusi di forza e una condotta feroce e spietata, per intenderci – Di Costanzo fa altro. Va oltre. L’approccio è quello del documentarista – d’altronde il regista proviene dal cinema documentario – che però realizza un’opera di finzione: ed allora è il dato di verosimiglianza che diviene la forza di tutta l’opera e che in questo caso si colloca in quella dimensione che è la vita di ogni giorno, la quotidianità, come quella del carretto ambulante di granite che viene preparato, sempre alla stessa ora, sempre con gli stessi gesti. Ma Di Costanzo non vuole solo inquadrare la camorra nella sua quotidianità. Rispetto a quei film in cui la camorra è anzitutto violenza fisica, esercitata tra e nei confronti di chi riconosce la propria appartenenza al Sistema, in questo lungometraggio ci si sofferma sul momento precedente: quello dell’assunzione della camorra a sistema culturale di riferimento, della sua sedimentazione all’interno della mente di un adolescente. Ciò che stupisce, poi, è il fatto che Napoli, nel film, non sia quasi nominata, quasi non si vede, la diamo per scontata, sappiamo che siamo al suo interno; la sua presenza ha la forma di un’idea, di un codice, e i suoi spazi, sono quelli dell’istituto abbandonato in cui è ambientata la pellicola e quello interiore dei suoi protagonisti. C’è difatti una forte coerenza tra spazio fisico e mentale. È un sistema a matrioska in cui sfilano Napoli, il quartiere e l’istituto, ed assieme un sistema mentale, che segue il percorso inverso: dallo spazio-mente dei due ragazzi protagonisti a quello del quartiere e di Napoli, la grande gabbia. E in questo processo, l’istituto e il tempo che i due ragazzi protagonisti vi trascorrono, hanno una carica rituale, quasi iniziatica, di passaggio e conferma.

una immagine di Francesca Riso e Alessio Gallo 620x334 su LIntervallo o della Quotidianità (Sognata): lEducazione ai Tempi della Camorra

Ci troviamo così a seguire per un giorno la vita di questi due adolescenti, Veronica (Francesca Riso) e Salvatore (Alessio Gallo). Due ragazzi dei quartieri spagnoli, scelti nell’ambito di un laboratorio guidato dallo stesso regista, che riportano nel film tutta la carica del loro dialetto, un codice già racconto di un disagio importante. Pretesto è lo sgarbo che Veronica ha commesso nei confronti del capo quartiere, e a causa del quale è stata rinchiusa in attesa di essere punita. Di Costanzo non ci dice però nulla sulla natura di questo sgarbo, ce lo svela solo a film inoltrato, proprio perché ciò che conta, l’elemento che deve essere piegato ed educato, è il pensiero. Come dire, l’errore è quello di credere di poter agire al di fuori del Sistema, delle sue regole. A sorvegliare Veronica, ci pensa Salvatore, ne è costretto. Ha una fisicità importante, ma appare piccolo, non osa nemmeno pensare di rifiutare quell’incarico ed i suoi occhi socchiusi, il capo riverso, la sua silenziosità, ci raccontano un modo di vivere che è remissività, adeguazione. Al contrario, Veronica è scaltra, il suo sguardo fiero, ribelle, deve ancora imparare, o meglio capire. L’uno guardia, l’altra reclusa, quindi. Entrambi – però – stipati all’interno di un ex istituto abbandonato, in attesa. E L’intervallo è proprio lì. Quel luogo così inospitale, fatto di stanze piene di rottami, corridoi bui e vetri rotti, quella gabbia, diviene l’unico spazio possibile in cui abbassare la guardia ed essere sé stessi, abbandonando la quotidianità che impone ruoli e comportamenti, una adolescenza messa da parte prematuramente.

una immagine di cover Lintervallo 620x334 su LIntervallo o della Quotidianità (Sognata): lEducazione ai Tempi della Camorra

Questo mondo di finzione, nel quale sorridiamo e ci inteneriamo, non perde però mai di vista il mondo di fuori. E la condizione di quel reale – che non appartiene solamente a Veronica e Salvatore, ma a tutti coloro che crescono all’interno di contesti socio-culturali problematici – viene fuori inevitabilmente. Come quegli uccellini in gabbia, che non osano attraversare la porticina aperta avendone la possibilità – come intuendo che oltre quella ci saranno altre gabbie – così capiamo che non si tratta di un luogo, non si tratta dell’istituto, ma di spazi estesi, di un’intera città, o meglio mentalità, che come una grande gabbia li circonda, li ha in sé. Oltre Napoli. Un piccolo film, nell’intenzione del regista, che vince però il premio Orizzonti a Venezia, così come molti altri. E allora, forse L’intervallo è qualcosa di più. È uno sguardo sulle modalità di educazione al pensiero camorristico, e la sua carica è forse più tragica di quella di molte altre pellicole sulla camorra, o per lo meno, è profondamente inquietante, funerea, perché la sua violenza è mentale e inevitabile.

una immagine di Alessio Gallo 620x334 su LIntervallo o della Quotidianità (Sognata): lEducazione ai Tempi della Camorra


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