Cromo a denominazione d’origine incontrollata
di Andrea Bianconi *
Recentemente l’Associazione Italiana di Oncologia Medica ha presentato al pubblico una importante raccolta di materiale sull’argomento «ambiente e tumori» (scaricabile gratuitamente al sito dell’Aiom).
Effetti estremi della cromatura
Nel capitolo «Cancerogenesi da metalli pesanti», la parola “cromo” compare 18 volte, “piombo” compare 7 volte e “arsenico” 9, per fare un confronto. Stiamo parlando di un problema sanitario serio.
I termini “esavalente” o “trivalente” ci dicono che non si tratta di cromo puro, ma di composti chimici del cromo. In un composto il cromo si lega ad uno o più atomi cedendo loro i suoi elettroni. Se nel legarsi cede sei elettroni si parla di esavalente, se ne cede tre di trivalente.
In entrambi i casi, il primo problema è che la tendenza a cedere elettroni in abbondanza ne fa un elemento molto reattivo: facilmente «aggancia» altri atomi nei paraggi, inclusi quelli del DNA.
Inoltre, il cromo esavalente ha quella proprietà che inserisce un contaminante nella classe più alta di pericolosità: riesce ad ingannare le membrane cellulari e a passare all’interno della cellula (viene scambiato con i solfati, sostanze che hanno il permesso di entrare).
Qui per l’appunto attiva reazioni chimiche, che lo trasformano in cromo trivalente. Il trivalente non sa entrare nelle cellule, ma una volta che ci si trova dentro è pericoloso come l’esavalente, perchè ha la capacità di legarsi direttamente al DNA, danneggiarlo e/o modificarne il funzionamento. E a questo punto?
Qui si entra nella zona «grigia» dell’oncologia. Il testo sopra citato afferma: «In generale è l’esposizione protratta a dosi infinitesimali a costituire il problema più grave». Questo discorso si può ripetere per quasi tutti gli inquinanti pericolosi inclusi quelli radioattivi, e però significa una situazione nella quale è impossibile identificare la catena di passi che porta dalla presenza del contaminante al tumore.
Inoltre anche l’epidemiologia (la statistica esposizione-malattie su molte persone) diventa conservativa, ossia è obbligata a sottostimare la gravità del problema. Nel caso del cromo esavalente, lo stato dell’arte è che questa sostanza è certificata come sicura cancerogena, ma non esiste la possibilità scientifica di dire quanto il corpo umano ne possa sopportare senza danni. E quindi la parola passa alla politica.
Che fa di solito la politica? Il caso emblematico è quello dell’amianto: la generalizzazione in occidente di leggi che ne limitano l’uso è di pochi decenni fa, ma già dal 1930 le compagnie assicurative americane si rifiutavano di fornire polizze sanitarie ai lavoratori esposti. Come dire: i soldi, al cuore del problema ci sono arrivati subito. La pressione delle lobby ha evitato per molti decenni che ci arrivassero anche le leggi.
Che cosa dovrebbe fare, invece, la politica? L’Unione Europea è stata chiarissima in proposito, raccomandando il «principio di cautela». Tale principio, emanato nell’art. 15 della Dichiarazione di Rio nel giugno 1992, e ratificato dall’Unione Europea, afferma:
«Quando un’attività crea possibilità di fare male alla salute o all’ambiente, dovrebbero essere prese misure precauzionali, anche se alcune relazioni causa-effetto non sono stabilite con certezza dalla scienza».
L’esempio classico che viene di solito citato è quello del medico londinese che, trenta anni prima che venga scoperto il bacillo del colera, obbligò a chiudere la fontana che riforniva d’acqua un intero quartiere popoloso, perchè c’era un’epidemia di colera e lui sospettava che arrivasse da lì.
UN CONFRONTO CON GLI USA. IL CASO HINCKLEY. Per dare un senso ai numeri che leggiamo sul cromo, consideriamo la situazione degli Stati Uniti. Negli ultimi anni ha destato allarme il fatto che nell’acqua di 31 tra le 35 maggiori città «sia presente» cromo esavalente.
Cromo ad Hinckley
«Sia presente» significa che in queste 31 città è stata riscontrata una contaminazione media di circa 0.2 microgrammi al litro. Tra le città con almeno 100mila abitanti, la più a rischio è Honolulu, con 2 microgrammi al litro.
Lo stato più attento è la California, a seguito del caso “Hinkley – Erin Brockovich“, reso famoso da un notissimo film con Julia Roberts. Recentemente la California si è proposta l’obiettivo «cromo zero», ossia una contaminazione inferiore a 0.02 microgrammi al litro al rubinetto. Attualmente, su 2300 punti di prelievo dell’acqua ad uso urbano in California, meno del 4 percento presenta contaminazione superiore a 20 microgrammi per litro.
BRESCIA FA IMPALLIDIRE LA PG&E. Confrontiamo questi numeri con quelli di Brescia. Stando ad una relazione presentata da Mario Tomasoni per conto dell’A2a, a Brescia sono presenti cinque punti di monitoraggio della qualità delle acque «al rubinetto».
PG&E, Hinckley USA
La presentazione fornisce le misure di cromo esavalente effettuate in questi punti a marzo del 2011, e la media dei cinque valori era 25 microgrammi al litro. Un valore 125 volte superiore a quegli 0.2 microgrammi che angosciano 31 delle 35 principali città americane. 12 volte superiore a quei 2 microgrammi al litro che si riscontrano nella top-cromo Honolulu.
Che fanno l’A2a ed il Comune di Brescia davanti a questi numeri, che se Brescia fosse una contea americana porterebbero entrambi davanti ad un tribunale penale? Per quanto riguarda il presente si barricano dietro la legislazione, che richiede di non superare 50 microgrammi al litro.
Per quanto riguarda il futuro, l’A2a «rassicura» i cittadini: anche in caso l’Italia adotti il limite 5 microgrammi al litro, lei continuerà a fornirci la stessa acqua come se niente fosse, l’erogazione non verrà meno. Di rimediare al problema, neanche a parlarne.
Potrebbero fare qualcosa? Potrebbero, in due direzioni (cfr. l’intervento di Marino Ruzzenenti):
1. La depurazione. Nella già citata relazione di Mario Tomasoni venivano mostrati i livelli di contaminazione di alcuni pozzi inquinati, con valori tipici simili a quelli riscontrati al rubinetto. Tenuto conto che l’acqua contaminata proveniente da questi pozzi viene diluita in acqua proveniente da sorgenti «pulite», il confronto tra inquinamento ai pozzi e ai rubinetti suggerisce che l’azione di depurazione effettuata negli impianti dell’A2a non abbia grandi effetti nell’abbattere il cromo esavalente.
Quindi un intervento potrebbe essere un potenziamento ed un aumento in numero degli impianti di filtraggio. Questo però risolverebbe solo uno dei tanti aspetti dell’inquinamento delle acque «potabili» bresciane, e comunque la depurazione produce a sua volta sostanze pericolose secondarie.
2. Le fonti. Prelevare l’acqua a monte delle attività inquinanti. Nella provincia le acque pulite non mancano, la soluzione del problema sarebbe andare a prenderle. A Bergamo la stessa A2a utilizza acqua proveniente al 90% da sorgenti, a Brescia solo per il 14%. Certo, bisogna costruire gli acquedeotti.
Non sembra che l’A2a, o il suo azionista locale di riferimento, il Comune di Brescia, siano intenzionati a prendere provvedimenti in questo senso. È una delle tante vicende che evidenziano il risultato nefasto della «liberalizzazione all’italiana» di servizi essenziali.
Se A2a la vediamo come società privata, la sua politica imprenditoriale è ineccepibile: nessun azionista tollererebbe spese maggiori non richieste dagli obblighi di legge, o dai provvedimenti amministrativi. Se invece la vediamo come fornitore, in regime di monopolio, di un servizio essenziale alla sopravvivenza della comunità, il giudizio è negativo senza attenuanti.
Dall’altro versante, di amministrazione comunali a Brescia ne abbiamo due: una è quella che prende parte alle sedute in Loggia, l’altra è l’azionista dell’A2a, che si riunisce in altra sede assieme ai partner nell’azionariato.
L’obiettivo di questa seconda amministrazione sembra primariamente quello di trarre profitto dalla gestione dell’azienda, a scapito della qualità del servizio e per molti aspetti anche sulla salute di lungo periodo dell’azienda stessa. Che, non scordiamoci, ha maturato oltre 4 miliardi di debiti, ai quali hanno contribuito i ricchissimi dividendi che gli azionisti si sono ripartiti per anni, fuori da ogni logica di corretta gestione aziendale.
Purtroppo non finisce qui…
Andrea Bianconi
* docente di Fisica all’Università di Brescia
Parte I – Continua
Domani un confronto con il caso PG&E e la falda dell’Arizona (Usa)