L’intervento della Chiesa in Medio Oriente. Il traffico di armi e gli aggiornamenti dal Libano

Creato il 30 gennaio 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Armi e denaro sono da sempre stati un “diabolico” binomio. Sono il grande polmone che alimenta le organizzazioni criminali e i gruppi di terrore nei luoghi di guerra. Il Medio Oriente è dunque stretto da questa terribile morsa. Il quadro geopolitico è influenzato da questo traffico di armi e di denaro, ed è qui che è doveroso agire per ristabilire la pace in Medio Oriente. I Patriarchi e i Capi delle Chiese orientali danno fondamento al proprio discorso intorno a questo legame destabilizzante non solo per il contesto politico. Una condizione che accomuna Paesi come l’Iraq e la Siria. Nel mondo, il traffico d’armi produce un giro d’affari annuo pari a 1.750 miliardi di dollari, e i maggiori esportatori sarebbero proprio quei Paesi che guidano le sorti politico-economiche globali: Stati Uniti e Russia, che detengono il 56% del traffico complessivo.

Nella riunione del 27 gennaio scorso a Bkerké, presso la sede del Patriarcato maronita, oltre ai vescovi del Patriarcato di Antiochia, vi erano anche il vescovo cattolico di Damasco, Joseph Arnaouti, e l’arcivescovo Gabriele Caccia, nunzio apostolico in Libano. L‘esito del summit ha permesso di comprendere l’urgenza di una pastorale in Medio Oriente che segua da vicino le sofferenze dei popoli e contribuisca alla salvaguardia delle comunità cristiane locali.

Il presidente della Caritas Lebanon, padre Paul Karam, ha riferito: “Anche in Libano l’impoverimento generale, la paralisi politica e il crescente pericolo di un’offensiva da parte delle milizie jihadiste stanno destabilizzando la società e spingono alla fuga i giovani, che vanno all’estero a cercare lavoro. Gli sforzi delle Chiese non possono supplire alla latitanza delle istituzioni civili“. Si tratta di un’affermazione non nuova. Qualche giorno fa, monsignor Onaiyekan evidenziò la carenza delle istituzioni nell’intervento contro i gruppi terroristi in Nigeria. Un’indifferenza istituzionale alla quale la Chiesa non può in tutto e per tutto sopperire.

La destabilizzazione indotta dai gruppi armati, alimentati dal traffico d’armi, è infatti alla base delle emergenze umanitarie che contraddistinguono questi territori.

Le autorità riunitesi nel summit del 27 gennaio a Bkerkè, hanno sentito il bisogno di scuotere la comunità internazionale, affinché si renda portavoce dell’esigenza di “fermare quanto prima i conflitti che insanguinano il Medio Oriente” e il mondo intero. “E’ doveroso porre fine – con mezzi pacifici – ai conflitti e alle fazioni violente. Il ricorso ai negoziati politici non può venir meno nel processo di pacificazione”.

In questo programma d’intervento si è rinnovato il sostegno alle forze armate del Libano, che già da venerdì scorso operano nei pressi di Raas Baalbek contro gli jihadisti provenienti dalla Siria.

Nel confronto diretto fra Israele e Hezbollah, l’immagine di un conflitto mai spento è ormai un “particolare fisso” del panorama politico in Medio Oriente. Nella mattinata di oggi (giovedì 29 gennaio, ndr) Hezbollah ha lanciato un missile contro un mezzo militare israeliano nei pressi di Shebaa. L’attacco sembrerebbe una risposta al raid aereo israeliano avvenuto il 18 gennaio scorso  in Siria. Il numero dei morti in Libano, come in Siria e nel resto del Medio Oriente, è spesso la conseguenza di un traffico globale di armi che alimenta di nascosto le operazioni delle fazioni più violente e dei gruppi di terrore.

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