Come descriverebbe la psicologia di Vallanzasca?
E’ un narciso, un uomo molto impulsivo con un’intelligenza vivacissima. Un uomo colto. Un uomo che legge, che sa parlare in italiano. E’ molto severo con se stesso, molto rigoroso. Non l’ho mai sentito autogiustificarsi, questo, probabilmente, ha a che fare anche con la sua componente narcisistica così spiccata. questo se da un lato lo ha avvantaggiato, dall’altro lo ha molto svantaggiato. Svantaggiato perché se avesse avuto una psicologia appena meno spigolosa, meno tagliente, probabilmente Vallanzasca sarebbe libero da molti anni. Il fatto che questo uomo, a torto o ragione, una volta “deposte le armi”, dichiarata chiusa la sua carriera criminale, abbia deciso di non fare l’ultimo passo, quello di una richiesta pubblica di perdono, o del pentimento giudiziario (cosa che ha pagato), lo rende diverso. Se avesse seguito le orme dei suoi “illustri contemporanei” sarebbe libero da anni e penso ad Andraus:Andraus è libero da anni, è l’uomo che mangiava il fegato di Turatello, che apriva le pance dei detenuti con i punteruoli.
Anche lui aveva scavato in profondità, era uno dei più terribili killer delle carceri italiane di fine anni ’70 primi anni ’80. Però, ad un certo punto, Andraus ha chiesto pubblicamente perdono. Vallanzasca questo non l’ha mai fatto e trovo tale atteggiamento in qualche modo dignitoso. Lui dice “non posso chiedere perdono per una cosa che non posso restituire. Io ho tolto delle vite e chiedere perdono non riporterà quelle persone che ho ucciso in vita. Piuttosto che apparire ipocrita agli occhi di un figlio, di una vedova preferisco tacere e preferisco ascoltare dal carcere”. Questo è stato Vallanzasca. Questo è ciò che lo ha reso il detenuto a più lunga degenza nelle nostre carceri. Credo che pochi altri detenuti come lui abbiano scontato un numero di anni di carcere quanti ne ha scontati Vallanzasca
Perché, se la legge è uguale per tutti, Furlan è libero e, con buona condotta e 38 anni di carcere alle spalle, a Vallanzasca non vengono concesse né libertà vigilata, né arresti domiciliari?
Il motivo per cui Vallanzasca è uno degli uomini che sta scontando un numero di anni in carcere incongruo rispetto alle medie italiane, congruo, poi, rispetto a quello che ha fatto – sto facendo adesso un ragionamento comparativo con persone che si sono ritenute responsabili di reati altrettanto gravi e hanno scontato una carcerazione decisamente inferiore – è legato, secondo me, a due circostanze. Una ha a che fare con quello di cui parlavamo prima: il mito. E’ un bandito che più o meno consapevolmente, ha contribuito alla costruzione del mito intorno alle sue gesta criminali e quindi, questo, l’ha reso, volente o nolente, un archetipo criminale. Questo rende ed ha reso molto più complicata la trattazione del suo caso da parte delle burocrazie penitenziarie del nostro Paese. E’ evidente che quando sulla scrivania di un Ministro di Grazia e Giustizia arriva la pratica Vallanzasca è diverso di quando arriva la pratica Furlan. Ed è da qui che vediamo l’altro aspetto. La politica è molto attenta e sensibile, evidentemente, al consenso. Allora, nel momento in cui si maneggia un archetipo criminale il responsabile, il Ministro di Giustizia, piuttosto che il capo dello Stato se si tratta di richiesta di grazia, è sempre molto preoccupato dell’effetto simbolico che una estinzione della pena o una concessione di benefici potrebbe produrre nell’opinione pubblica. Ciò al netto delle considerazioni, di merito, delle posizioni del detenuto o del suo effettivo percorso di riabilitazione.
Ma questo, ripeto, fa parte dell’incapacità genetica nel nostro Paese (e torniamo a quanto c’eravamo detti all’inizio della nostra chiacchierata) di costruire una memoria collettiva condivisa e quindi, di misurarsi anche con fatti divisivi, profondamente divisivi, come possono essere i reati molto gravi come omicidi o una serie di rapine. Siccome non si riesce a costruire un terreno condiviso di memoria, siccome non si riesce mai a capire quale deve essere lo spazio o il posto che deve o che può occupare un uomo che si è reso responsabile di reati gravi all’interno della collettività – una volta che le pene per quei reati sono state in parte espiate – siccome non si riesce mai a capire questo, essendo all’interno di un Paese che oscilla come in un pendolo, di un Paese che si dice contrario alla pena di morte però poi, in qualche modo, con una pulsione ad immaginare una pena di morte civile per chi si rende responsabile di un reato grave. In questo Paese, dovremmo riuscire a trovare, prima o poi, un equilibrio. Io credo che (e qui faccio una considerazione che vale per Vallanzasca ma credo che valga per qualunque assassino o qualunque bandito che abbia il colletto bianco o la canottiera) una questione è il perdono, che si muove in una dimensione individuale. Dare il perdono è solo di chi ha subito un lutto, una violenza. Chiederlo è nella esclusiva disponibilità di chi si è reso responsabile di un reato. Questa quindi, è una sfera privata.
Poi c’è la sfera collettiva. In una democrazia la colpa del singolo viene assunta dalla collettività che ha un carcere dove viene espiata la pena, dove un uomo dovrebbe provare a ritrovare la propria strada. Quando si entra nella dimensione collettiva, la parola “perdono” non ha più senso. La collettività non può perdonare. La collettività può e deve semplicemente sorvegliare sul percorso esistenziale di un uomo e capire se un criminale, ad un certo punto, non solo ha saldato il suo conto, ha espiatoa sufficienza, ma se ad un uomo può essere data una seconda possibilità. questa distinzione di piani io ho la sensazione che, nel nostro Paese ancora non sia abbastanza chiara. A me fa sempre molta paura quando vedo persone che si sono rese responsabili di reati molto gravi, trasformarsi in opinionisti o in opinion leader. E’ una cosa che mi mette i brividi addosso, ma allo stesso tempo, mi mette i brividi sentire che chi si è reso responsabile di un reato non ha più diritto di parola. Questo non è evidentemente possibile. E’ chiaro che l’equilibrio è nella misura di ciascuno però penso che su questo sarà necessario trovare un punto di equilibrio.
Quindi se le sue ammissioni di colpe e colpevolezze avessero avuto il gusto del “pentimento”, crede che adesso godrebbe, come felice Maniero, di libertà e imprenditoria?
Si, se Vallanzasca avesse seguito il percorso fatto da altri banditi e assassini come lui che hanno chiesto perdono pubblicamente e che hanno reso pubblico soprattutto l’impegno nel sociale, probabilmente, lo sarebbe. Vallanzasca, da quanto mi risulta, è impegnato nel sociale da quando gli è stato consentito come primo beneficio il lavoro esterno al carcere e lui non ha mai pubblicizzato il suo lavoro nel sociale. Probabilmente se si fosse affidato ad un percorso diverso, sarebbe un uomo libero già da tempo. Non l’ha fatto e l’esito è quello che conosciamo…
…continua…
Alessandro Ambrosini
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