Non ho mai avuto la possibilità ed il piacere di incontrare Andrea Pasqualetto.
L’intervista che segue, nasce in maniera un po’ bizzarra: Il 10 Febbraio commentavo l’articolo “Aiutò Maniero a evadere. Guardia in cella dopo 17 anni” a firma di Pasqualetto.
In quella occasione esortando Pasqualetto ad essere più incisivo e ad approfondire quelle cose che, come per l’esclusiva intervista rilasciata dal boss della mala del Brenta, restavano poco chiare, venivo, però, fraintesa.
Dal sito del Corriere del Veneto, infatti, pochi minuti dopo, il commento veniva prontamente rimosso e, qualche ora dopo, venivo raggiunta da una e-mail di Andrea.
Chiariti i motivi della critica, scoprivo di essere stata scambiata per «un componente della mala del Brenta».“Mala” interpretazione frutto di un’identità numerica ricevuta loggandomi automaticamente e che non avevo, e non ho, provveduto a modificare. Successivi scambi di battute per telefono e per e-mail dopo, hanno dato vita a questa serie di domande/risposte “a freddo”.
Come nasce il tuo libro insieme al boss della mala del Brenta?
Nasce da una dritta di una mia fonte: Maniero è lì. E lì significava un hotel a cinquestelle. L’ho beccato, in sostanza, e lui ha capito in un secondo che sarebbe stato molto più conveniente parlarmi che ignorarmi. Se non l’avesse fatto e io avessi scritto subito qualcosa avrebbe avuto delle conseguenze.
Tu che hai avuto modo di conoscerlo, chi era e chi è Felice Maniero?
Maniero è stato uno spietato criminale che cercava ricchezza ed ebbrezza dalle sue azioni. E’ stato un rapinatore, un assassino, un sequestratore… Oggi prova a fare l’imprenditore, misurandosi con un altro tipo di criminalità, quella borghese che corre sul filo della legge. Prima e dopo è sempre stato un freddo calcolatore. E’ un uomo schietto, allegro, amorale se per morale si intende quella comune.
Quando si ha l’esclusiva per un libro con un personaggio come Felice Maniero, a quanto ammonta la paura di legare in modo indissolubile la propria carriera ad un criminale?
A zero. Mai avuto paura di legare la mia carriera a lui. E infatti non è stata legata. Tutt’altro. Non l’ho sentito per tredici anni!
Pensavi che il tuo libro finisse in pellicola?
Quando l’ho scritto no. Quando è stato pubblicato sì. Mi chiamò subito Paolo Pillitteri, l’ex ministro dei trasporti cognato di Craxi e professore di storia del cinema, e mi propose subito di farne una sceneggiatura. Io ero a Milano in quel periodo e così ci siamo visti molte volte. Mi sorprendeva il suo interesse per la vita di Maniero. La sceneggiatura la scrisse tutta lui, un malloppo alto così, che poi rimase lì, senza produttore. Capii comunque che c’era un interesse cinematografico.
Perché il tuo editore non ha ristampato il libro sebbene Felicetto ha avuto, con te, tanto successo?
Dovresti chiederlo all’editore ma presumo dipenda da una valutazione economica: il libro aveva esaurito il suo corso e la Marsilio l’ha messo fuori catalogo, normale. D’altra parte è solo adesso che si torna a parlare di Maniero, dopo un lungo periodo di silenzio.
Quando hai scritto il libro con Maniero o quando lo hai intervistato, eri più scrittore o giornalista? (La domanda sembra banale ma la differenza è notevole).
Mi sono sempre sentito un giornalista, mai uno scrittore. Il mio obiettivo era quello di fargli raccontare più cose possibili del suo passato malavitoso, spesso contro la sua volontà.
Perché, secondo te, in merito alla fiction, nessuno dei familiari delle vittime è insorto come per il film su Vallanzasca?
Non è insorto forse perché il film non è ancora uscito.
E’ cambiato qualcosa nella vita di tutti i giorni da quando sei uno dei pochi che ha visto e sa dov’è Felice Maniero?
Io l’ho visto ma non so proprio dove sia. In ogni caso non mi è cambiato nulla.
Cosa è per te il pentimento e che ne pensi del contratto di collaborazione occasionale che Maniero ha siglato con la giustizia?
Il pentimento è per me un sentimento soggettivo, profondo, intimo, indicibile, che dunque non ha alcun senso codificare. Chi l’ha voluto trasformare in legge ha compiuto un’operazione assurda che favorisce solo l’ipocrisia.
Maniero comunque non ha mai detto di essere pentito, anzi, mi ha sempre detto di odiare chi sbandiera pentimento come tanti mafiosi siciliani.
Si è sempre definito collaboratore. Cosa penso della sua collaborazione? Penso che un giorno lui si sia messo a fare due conti e abbia concluso che gli conveniva collaborare.
Alcune voci dicono che Maniero abbia aiutato lo sviluppo del Veneto dentro e fuori i confini del territorio.
Per questo motivo, si vocifera, è stato agevolato più per tacere nomi che per spifferarne . Tu che ne pensi?
Non penso che abbia aiutato lo sviluppo del Veneto.
La Mala del Brenta è giuridicamente una storia chiusa, secondo te è veramente così?
E’ una storia chiusa come organizzazione. Esistono alcuni ex della Mala che continuano a delinquere ma in modo poco strutturato.
Cosa è successo dalla sua fuga dal carcere di Padova fino al suo arresto, quasi teatrale, nella città del gianduiotto?
Nel libro ho scritto diverse pagine su cosa è successo: fuga, latitanza all’estero, cattura. Teatrale come quella di Capri, come tutte le catture dei grandi boss. Dietro c’è sempre qualcosa di poco chiaro.
Narcomafie 2008
Negli ambienti delle Procure venete alcuni magistrati si sono indignati su come si è concluso il processo del super boss ritenendolo, a volte, una farsa o la marcatura di uno schizzo disegnato preventivamente. Hai provato a contattarli per scoprirne più a fondo i motivi?
Sei prevenuta e sbagli. Ma secondo te io faccio un libro su Maniero e non sento i magistrati? Ci ho parlato decine di volte.
Maniero aveva tante tipologie di amicizie: mafia, camorra,(come Totuccio Contorno, Gaetano Fidanzati, Guglielmo Giuliano, Misso o Guida) politica, forze dell’ordine o con le stesse istituzioni…secondo te, che fine hanno fatto questi legami?
Penso che lui abbia voluto chiudere col passato. Ma questo è solo un mio pensiero e come tale limitato.
Secondo te, ci sono stati contatti tra gli apparati dello Stato e faccia d’angelo? E se si, perché e da quanto tempo si era tessuto questo legame?
Lui ha certamente trattato con i magistrati e mi sembra che sia stato più che sufficiente dal suo punto di vista, cioè dal punto di vista della convenienza.
Quanto è cambiato il panorama della criminalità veneta dalla dine della Mala del Brenta?
Gli spazi della mala del Brenta sono stati occupati da varie mafie e bande criminali.
Quanto ti è sembrato sincero e quanto ha tirato l’acqua al suo mulino Faccia d’Angelo?
Lui tira sempre l’acqua al suo mulino, come me e come te.
Ha mai parlato con i familiari della ragazza morta nell’assalto al treno a Vigozza?
Confermo: prevenuta e anche ingenuamente fastidiosa. Ma se il fastidio premia il mestiere il manifesto pregiudizio lo uccide. Ti rispondo comunque: penso che siano anche stanchi di sentirmi.
Perché il boss ha scontato le briciole della sua pena, già ridotta a 17 anni con il pentimento?
Perché quello era il patto con la giustizia: collaborazione è patto.
Perché i veneti sono omertosi in merito all’affaire Maniero?
Questa è una domanda che ha in sé un assunto: che i veneti siano omertosi. Quali? Chi? Non ho questa sensazione. Da cosa ti deriva questa certezza? Informami perché essendo anch’io veneto magari non me ne accorgo.
Quello che ha rivelato Felice Maniero, secondo le fonti ufficiali di magistrati e Pm, valeva davvero tutto quello che lo Stato ha concesso?
Cosa faresti tu pm se ti trovassi di fronte a questa scelta: offrire dei benefici anche importanti al boss e sradicare grazie a lui un’intera organizzazione criminale, cioè centinaia di malavitosi; oppure negare i benefici e tenere in piedi l’organizzazione? E’ un difficilissimo calcolo, dove entra tutto, anche l’ingiustizia di agevolare un boss.
Come mai, secondo te, la giustizia con Maniero è stata più celere dei suoi “tempi massimi”?
Perché se decidi di scendere a patti devi rispettarli, anche nei tempi.
Perché Erbì, ex agente di polizia penitenziaria venduto al boss e per questo complice della sua evasione, si indigna quando apprende di dover finire di scontare la sua pena e chiama in causa la giustizia corrotta?
Mi fai troppo preparato: dovresti chiedere a Erbì perché s’indigna, io non sapevo neppure che si fosse indignato.
Perché il crimine diventa mito?
Perché l’animo umano spesso s’incuriosisce per chi vive fuori dalle righe, per chi deraglia, uccide, ruba, evade, rompe equilibri, per chi se ne infischia della vulgata borghese. Il pensiero borghese appiattisce e governa ma non può controllare il giardinetto dei pensieri e degli istinti. Ecco, penso che il fascino, il mito, obbediscano alla categoria degli istinti, più che a quella della ragione. Nessuno è solo un santo e nessuno è solo un assassino. Tutti siamo potenzialmente dei criminali. Il crimine, il male, oltre che appartenere a un’idea di morale fa parte di noi, è l’altra nostra anima forse sconosciuta, che spaventa e attrae. Ma stiamo scoprendo l’acqua calda. La storia dell’arte, la tragedia greca, la drammaturgia, da Medea a Edipo all’Otello, da Euripide a Sofocle a Shakespeare, ma anche la letteratura, il cinema e le storie umane più lette degli ultimi anni, da Novi Ligure a Cogne ad Avetrana, sono piene di assassini, di fuorilegge, parricidi, di brutali serial killer. Fino a Vallanzasca e a Maniero. La sua vita è una verità e penso sia giusto raccontarla, per quanto scomoda possa essere e per quanto male possa fare alle sue vittime, il cui dolore va naturalmente raccontato.
Marina Angelo
Andrea Pasqualetto