Le parole che avete appena sentito sono quello dell’Europarlamentare leghista Francesco Speroni, in un’intervista rilasciata il 13 aprile 2011 a “Radio 24”. L’esponente del Carroccio rincara la dose di razzismo e violenza manifestata del Viceministro delle Infrastrutture della Repubblica Italiana Roberto Castelli che, il giorno prima, sempre ai microfoni di “Radio 24”, dichiarava: «Bisogna respingere gli immigrati, ma non possiamo sparargli. Almeno per ora». Le parole violente di questi due figure delle nostre istituzioni, lasciano molti sbigottiti e non risolvono di certo un fenomeno migratorio come quello che sta interessando le coste italiane in queste ultime settimane. Citare i metodi Hitleriani ha suscitato comunque e giustamente le ire e gli sdegni delle opposizioni, che comunque non hanno fatto fare marcia indietro ai due sciagurati ministri, che continuano a tenere banco e a scaldare la loro poltrona. Eppure nelle loro parole è chiarissimo un tono di razzismo, d’intolleranza, di fanatismo nazionalista verso persone che hanno bisogno d’aiuto. Un tono, tra l’altro, non d’opinione personale, ma che ricalca una linea politica leghista chiara e agghiacciante, che prevede l’incitazione all’uso della violenza, l’impiego di forze armate e in questo caso lo spargimento di sangue di persone inermi e disarmate. Eppure la Costituzione Italiana parla chiaro e nell’articolo tre cita:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”
Allora com’è possibile che dei ministri della Repubblica Italiana, che hanno giurato fede alla Costituzione, siano razzisti e intolleranti in questo modo? Il tutto inoltre, davanti alle tragedie e alle disgrazie che in questi giorni si stanno abbattendo su coloro che con drammatici viaggi di speranza, cercano di approdare nel nostro paese per cercare un futuro migliore. E come mai nel 2011, in un paese occidentale e sviluppato come l’Italia, si sente ancora parlare di razzismo?Oggi sono più di 4 milioni gli stranieri che vivono in Italia, quasi tutti lavorano e contribuiscono al benessere del nostro paese. Essi con fatica e dedizione sono entrati a far parte della nostra comunità, integrandosi, nonostante i pregiudizi e la diffidenza dell’italiano medio, che spesso vede gli immigrati come capri espiatori, soprattutto quando aumenta il disagio sociale o l’insicurezza economica. Chi, come una buona parte dei nostri politici, alimenta l’odio, il razzismo e la xenofobia, fa prima di tutto un grosso danno al paese e a coloro che con fatica fanno parte a tutti gli effetti della nostra società. Inoltre gli episodi d’intolleranza e violenza a cui spesso assistiamo sono sintomi preoccupanti di una società che va verso il regresso, allontanandosi dai cardini della convivenza, della civiltà e del benessere comune.
Proprio qualche giorno prima delle frasi razziste di Castelli e Speroni, un gravissimo episodio ha colpito la giocatrice Abiola Wabara, cestista del Geas – Sesto San Giovanni, squadra femminile del basket milanese di serie A. Abiola, 29enne, italiana figli di nigeriani, è stata bersagliat
a dai tifosi con cori razzisti, fischi e insulti. Più volte il presidente della Geas ha chiesto all’arbitro di sospendere la partita, ma la gara è andata avanti fino al termine. Come se non bastasse, alla fine del match, mentre le squadre tornavano negli spogliatoi, i 15 -20 tifosi hanno bersagliato la ragazza con una raffica di sputi. Solo grazie all’intervento dei dirigenti delle due squadre la situazione è stata calmata e non è sfociata in qualcosa di peggio.La pallacanestro italiana però non sta lì a guardare e per il week and del 17 aprile, la Federbasket, ha lanciato la campagna “Vorrei la pelle nera”: gli atleti, dalla serie A in giù, si tingeranno la pelle di nero in segno di solidarietà verso Abiola Wabara. L’invito di colorare la propria pelle è ovviamente rivolto anche verso i tifosi. La Fip (Federazione italiana pallacanestro) spiega come il basket sia da sempre uno sport multietnico e multirazziale, dove sono spesso i giocatori stranieri che fanno la differenza e permettono allo sport di crescere. L’ex cestita Diego Meneghin, oggi numero uno della Fip, propone di seguire il modello adottato negli Stati Uniti dove i tifosi razzisti sono allontanati subito dagli impianti sportivi. Meneghin non ha dubbi sul trattamento da riservare anche in Italia a coloro che intonano cori razzisti, offensivi o gesti intolleranti: “Le società li individuino e li caccino, li prendano per la collottola e li portino fuori – ha detto -. Così questi mentecatti capiscono come comportarsi. Non vogliamo che queste cose si ripetano. Purtroppo manca nel regolamento una norma che permetta agli arbitri di fermare le partite in caso di cori razzisti. Dobbiamo lavorarci”. Secondo Carlton Myers non bastano queste rare iniziative per fermare il fenomeno del razzismo nello sport, che sono si utili, ma non sufficienti. Secondo il fuoriclasse bisogna non solo fermare le partite, ma anche infliggere dure sanzioni a chi incita alla violenza e all’intolleranza, anche perché i match vengono seguiti da molti bambini, che possono essere facilmente influenzati ad idee sbagliate e razziste.
Le campagne sociali create per arginare combattere ed eliminare il fenomeno del razzismo sono tantissime in tutto il mondo. Personalità importantissime si sono battute per sconfiggere un fenomeno di portata mondiale che ancora oggi è troppo esteso. Esaminiamone qualcuna italiana.
Nella primavera del 1990 esce la prima parte della campagna “NO al razzismo, SI alla tolleranza”, patrocinata da Pubblicità Progresso. L’immagine d’esordio è molto forte: un uomo nero crocefisso, accompagnato da parole durissime che definiscono il razzista come un essere inferiore.
Intanto esce anche lo spot che fa discutere e scuote ancor di più l’opinione pubblica. Il tono è drammatico, violento, quasi spettrale. L’uomo viene crocifisso mentre alcune voci ripetono la loro fittizia estraneità al razzismo, ma sono proprio quelle persone, quegli “italiani” che inconsciamente o no, hanno messo l’uomo, il “diverso”, in croce.