L'intrepido
Creato il 11 settembre 2013 da Veripaccheri
L'intrepido
di Gianni Amelio
con Antonio Albanese
Italia 2013
genere, commedia
durata,104'
Il cambiamento è caratterizzato da sentimenti contrastanti.
All'incertezza del nuovo si accompagna quasi sempre il senso di
liberazione da una condizione che ha smesso di rappresentarci. Questa
dimensione credo che appartenga da qualche tempo a Gianni Amelio tornato
al cinema con due film piuttosto complicati: "Il primo uomo",
cineracconto ricavato dall'omonimo romanzo di Albert Camus, condizionato
dall'improvvisa mancanza di finanziamenti e dal conseguente abbandono
dell'attore protagonista, ed oggi, dopo la direzione del TFF,
"L'intrepido", debutto nella commedia del regista calabrese, subito
confortato dall'entusiasmo dei selezionatori del festival di Venezia che
lo hanno appena presentato nel concorso ufficiale della '70 edizione.
Certamente la storia di Antonio Pane e dei suoi mille mestieri
costituiva una bella scommessa. Intanto perchè Amelio era chiamato a
misurarsi con la fisicità sghemba e l'umorismo surreale di un anfitrione
dell'arte comica, e poi perchè si trattava di ritornare ad affondare i
denti nelle piaghe di un paese in crisi, dopo anni in cui Amelio aveva
guardato all'Italia attraverso le vicende di altre nazioni: L'Albania
degli immigrati post rivoluzionari cosi come la Cina dello sviluppo
industriale, e persino l'Algeria martoriata dal terrorismo
indipendentista garantivano la giusta distanza per ritrovare il senso di
ciò che avevamo perduto, o più semplicemente di quello che non
riuscivamo più a vedere.
Per farlo Amelio sceglie di raccontare una
storia in controluce, in cui la mancanza di misericordia e di
comprensione umana emerge dall'estraneità del protagonista rispetto al
mondo che lo circonda.
Antonio Pane è infatti lo straniero per
eccellenza: abbandonato dalla moglie, con un figlio al quale è costretto
saltuariamente a chiedere i soldi e per di più senza un posto fisso,
Antonio non si perde d'animo moltiplicando sforzi e gentilezze
distribuite a piene mani a buoni e cattivi, senza classifiche di merito.
Ma soprattutto non smette mai di lavorare, adattandosi ad ogni incarico
e mansione sempre sull'onda del buon umore, e con sguardo attento a chi
come Lucia (l'esordiente Livia Rossi), fatica ad andare avanti.
Affidandosi al talento di Albanese ed ambientando la storia in una
Milano più vicina ad uno stato dell'anima che ad un luogo geografico (la
città pur riconoscibile è resa con una toponomastica priva di punti
forti) Amelio sospende il film in un' indeterminatezza di toni che
alternano momenti di rara drammaticità - soprattutto quelli in cui
Antonio si confronta con le generazioni più giovani e che costituiscono
la parte migliore del lungometraggio - ad altri in cui a prevalere è la
buffezza del personaggio ripreso in situazioni surreali come quella del
passaggio di consegne con un gigantesco ferroviere in cui la precarietà
di quel lavoro risalta dalla differenze fisiologiche (i due sono
ritratti di profilo, uno di fronte all'altro per evidenziare le
rispettive figure ) e da particolari secondari come quello dall'uniforme
extra large che Antonio indossa con la disinvoltura di chi non potrebbe
avere abito migliore.
A prevalere in generale è il contrasto tra la
dimensione tragicomica dell'immaginario che Albanese porta con se e la
disfunzionalità di paesaggio popolato di uomini e donne chiuse
all'interno del proprio dolore o della propria grettezza. Uno schema che
pure funziona quando si tratta di introdurre i personaggi ed il loro
mondo, ma che risulta inadeguato nel momento in cui, e siamo circa a
metà del guado, si tratta di raccontare qualcosa di più, entrando
all'interno di di situazioni appena sfiorate e d rapporti umani
accennati in superficie. E' in quel preciso frangente che "L'intrepido"
non riesce a cambiare marcia, restando sempre sull'apparenza delle cose e
degli uomini per poi naufragare in un finale davvero imbarazzante per
la vaghezza che Amelio sceglie per chiudere il cerchio con le sventure
che nel frattempo si erano accumulate nel corso della vicenda. Commedia
sotto mentite spoglie "L'intrepido" ripropone temi cari al suo autore
(il rapporto padre figlio e la dialettica generazionale, il viaggio come
strumento di conoscenza e di catarsi, l'umanesimo degli umiliati ed
offesi) e pure non manca di ribadire uno sguardo interessato ai problemi
del reale che Amelio ritrae anche con cinica crudezza (la filosofia del
venditore di protesi fa il paio con quella del personaggio di Michele
Placido ne "L'america") ma a differenza di altre volte a mancare è
quella densità emotiva ed appassionata a cui aveva abituato e che
permetteva di vivere in prima persona le esistenze di cui ci parlava. Il
lavoro di sottrazione operato da Amelio avrebbe avuto bisogno di una
sostanza che la performance del pur bravo Albanese non riesce a
compensare, ed anche i riferimenti alla disoccupazione ed al precariato
pur presenti sono affrontati con una prospettiva da titoli di giornale,
come accade nella sequenza d'apertura con le contumelie dell'operaio nei
confronti degli extracomunitari simili ad un abbecedario del giovane
razzista. Diventa allora inevitabile sottolineare la mancanza d'identità
di un opera che conferma il momento di scarsa vena dell'autore
calabrese.
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