L’intuizione di Giorgio Galli: Reggio non coerente

Da Jenny76

Continuano le celebrazioni per i quarant’anni della rivolta di Reggio Calabria. A Palazzo San Giorgio (sede Comune di Reggio Calabria), una conferenza per ricordare alcuni aspetti della “esasperazione dei reggini”, anche attraverso la testimonianza di un eminente storico e politologo milanese. Giorgio Galli, infatti, nella sua ultima pubblicazione Storia del pensiero politico occidentale (408 pagine, euro 20 - edito Baldini Castoldi Dalai) dedica un intero capitolo ai “fatti di Reggio”, portando avanti una tesi che identifica anche una fase felice della storia della destra italiana. «Ma la rivolta del 1970, fece molto di più», secondo Giorgio Galli, giunto di gran carriera dal capoluogo lombardo.

All’incontro che riprende il tema “Reggio e la libertà”, hanno preso parte, anche Renato Meduri, vicepresidente del Comitato 40° Rivolta, gli storici Franco Arillotta e Pasquale Amato; assenti Bruno Tucci, presidente dell’ordine dei giornalisti del Lazio e il giornalista Mimmo Raffa, che avrebbe dovuto coordinare l’evento. Saluto e cerimonia di consegna affidata all’istituzione comunale, il consigliere Peppe Agliano e il sindaco Giuseppe Raffa il quale, reduce dalla recente crisi comunale, ha ribadito che «ricordare, è l’opportunità di riflettere sui percorsi sociali, che sta portando avanti la nostra città. La rivolta del ’70 fu un segno del popolo alimentato da quel sentimento di indignazione, lontano dal sentire delle società odierne; a noi, evidentemente, tocca di lavorare per stimolare la società per il bene comune». A ricevere la targa, la vedova Campanella e Carmine Jaconis, in ricordo di due “martiri” della rivolta, morti entrambi il 17 settembre ad un solo anno di distanza.

Riflessione dunque, sulla libertà e sul concetto di giustizia, e soprattutto sul modo di intendere una rivolta che la storiografia italiana tradizionale ha preferito mettere da parte. La lettura di Giorgio Galli si affaccia su scenari di cambiamento nazionale.

 «La rivolta di Reggio – spiega – ha segnato la storia italiana almeno fino alla vigilia dell’omicidio Moro. Ciò che sorprende è la scarsa attenzione a livello nazionale; le elezioni regionali del 1970 avevano consolidato una larga maggioranza di governo. Invece, proprio da Reggio che si vede privata di un diritto acquisito, il capoluogo, si apre il fronte della tensione e della destabilizzazione della politica italiana. I fatti di Reggio sono il risvolto di un sistema in crisi, ma fu soprattutto la destra a scorgere l’ingiustizia subita, (rispetto ad un governo regionale di centro sinistra) alimentando così le file del Movimento Sociale Italiano; mentre la rivolta influenzerà il governo nazionale che non sarà più di centrosinistra, ma centrista».

 Il politologo, che all’epoca lavorava a Torino e nulla aveva che vedere con la situazione del Mezzogiorno, oggi è in grado di guardare la rivolta di Reggio con un occhio molto più oggettivo e critico, di come non fecero i giornalisti italiani e gli storici di allora.

«Anche Ciccio Franco, leader di destra, all’inizio fu molto cauto verso la reazione dei reggini, che al momento venne affiancata ad una sorta di ribellismo di sinistra come richiedevano i tempi, piuttosto che ad una sollevazione spontanea di stampo popolare. Invece, la rivolta di Reggio non era un semplice fatto locale, ma il risvolto di un sistema che metteva in discussione l’andamento della politica del Paese. I successi del MSI, con Almirante alla guida, partirono proprio da Reggio Calabria. Le elezioni del 1972 portarono il Movimento Sociale Italiano ad essere il primo partito a Catania e ad ottenere un grande successo nella capitale». Almirante comincia a costruire una destra sociale nuova, di fronte ad una storia del Paese, che sembra votata a sinistra, anche in seguito alla scia del ’68 e al potere della Democrazia Cristiana.

 «In questa prima fase ci fu uno spostamento della politica verso destra, sull’asse Andreotti – Malagodi». Negli anni ’70 l’opinione pubblica si spostava molto facilmente; «l’allora segretario della DC Fanfani, pensò di spostare ulteriormente l’opinione del Paese col referendum sul divorzio, prospettando in questo modo di sconfiggere le pretese della sinistra. Da questo punto di vista, dunque, gli anni ’70 sono davvero importanti perché si può riscontrare un primo spostamento a destra in seguito ai fatti di Reggio, e un secondo immediato spostamento negli anni 1973/1974 fino al 1977, verso il centro sinistra, che porterà poi alla vicenda Moro». Secondo Galli quindi, «la rivolta reggina fu marginalizzata perché non era coerente con i tempi». L’indignazione dei reggini pertanto dava una lettura contraria all’andamento della storia politica nazionale, perciò si preferì bollarla non come sollevazione popolare, e dunque al di sopra delle parti, ma come una sollecitazione criminale che attentava alla stabilità dello Stato. Perché mai lo Stato italiano, sia a livello centrale sia a livello regionale, si sia comportato così, non si è ancora capito. «Si tratta di una storia complessa – ha ribadito Giorgio Galli – dalle connotazioni complesse; quella italiana in particolare è una storia antica, di un’unità nazionale che doveva mettere sullo stesso piano le realtà regionali: fatto che non si è realizzato allora né oggi». La rivolta di Reggio Calabria, probabilmente, ci da anche la cifra del divario fra Nord e Sud, che oggi dobbiamo combattere sul fronte del federalismo avanzante.



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