Potete leggere qui le prime pagine del libro, che l'autrice ha gentilmente condiviso in occasione del 150° anniversario dell'unità d'Italia, incluse nelle pagine del suo sito dedicate a Le due vite di Elsa (qui).
Genere: Romanzo storico
Editore: Piemme
Data di pubblicazione: 10 maggio 2011
Pagine: 336
Prezzo: € 18,00
Trama: Elsa non si è mai sentita parte della sua famiglia. Forse perché è una ragazza difficile, fragile; almeno questo è ciò che le hanno sempre detto. Troppo timida e debole di nervi rispetto a loro, gli eredi risoluti e arroganti di una delle famiglie più in vista della Roma fascista. Fino ai vent’anni Elsa ha seguito docilmente il volere del padre e della zia, facendo sempre ciò che ci si aspettava da lei, anche quando si trattava di esporsi alla derisione e allo scherno, salendo sul palco di un teatro per interpretare il ruolo di Anita Garibaldi in un’orribile pièce voluta dal regime. Tuttavia, proprio grazie al teatro e, soprattutto, al personaggio di Anita, Elsa scopre una se stessa che non pensava esistesse. L’incontro con quella donna impavida, forte, bella, la cambia nel profondo. Anita è tutto ciò che lei non è mai stata, ma Elsa sente che tra loro c’è un legame. Ogni notte, la timida Elsa abbandona le proprie insicurezze per diventare Anita, l’eroina dei due mondi. Grazie a quei sogni si trasforma e comincia a fare cose che non aveva mai fatto prima: fugge di casa, cammina scalza per le strade di Roma e grida tutto il dolore che ha racchiuso in sé per troppo tempo. Per la sua famiglia, però, questo non è accettabile. La ragazza deve essere allontanata, perché le sue non sono più stramberie, è pazza, e potrebbe rovinarli. Nell’ospedale svizzero in cui viene rinchiusa, Elsa scopre le sbarre, il torpore malsano dei medicinali e l’assenza di libertà, ma riesce anche, grazie all’aiuto di un giovane medico, a comprendere i motivi della propria sofferenza e a liberarsi di una famiglia che l’ha sempre oppressa. Scoprendo forse anche quell’amore che da sempre le è stato negato.
VIDEOINTERVISTA
Untitled from Alessandra Zengo on Vimeo.
RECENSIONE
Roma, 1931. Elsa, la protagonista della nostra storia, si trova a teatro e si appresta ad sostenere le prove per interpretare Anita Garibaldi in una pièce dedicata al grande eroe dei due mondi. All’inizio dell’estate è prevista infatti l’inaugurazione della statua sul Gianicolo dedicata alla compagna di mille avventure dell’unificatore del nostro Paese. Un evento storico senza precedenti, che offre al regime l’ennesima occasione per un po’ di propaganda.
Il resto del cast è però piuttosto perplesso: la ragazza è timida, sembra vivere in un mondo tutto suo, è balbuziente, addirittura! Interpretare un ruolo del genere poi, è assolutamente al di fuori della sua portata… come potrà mai comunicare al pubblico un messaggio patriottico valido e convincente? Ma Elsa non è inconsapevole riguardo la sua situazione. Lei stessa, per quanto desideri recitare, in un momento di agitata lucidità si rende conto della difficoltà della sua posizione: “Cos’è questo? Come ci sono arrivata?” si chiede. In realtà si trova in teatro principalmente a seguito delle insistenze di suo padre, Giacinto Puglielli, che ha convinto l’impresario del teatro ad accettarla nella compagnia. Architetto benestante e gallerista, è vedovo, – la moglie, scopriremo più avanti, è morta al fronte durante la Grande Guerra, dopo essersi arruolata volontaria come crocerossina, – e la sua occupazione principale nella vita è prendersi cura con affetto dei due figli Michelangelo ed Elsa, e della sorella Olga, che vive con loro e amministra con severità e precisione i beni familiari, dedicandosi più alle faccende dei suoi parenti che a quelle personali, con effetti inevitabilmente disastrosi per tutti.
Il teatro potrebbe essere quindi realmente terapeutico per lei, insieme all’affetto di suo padre e al sostegno fedele di suo fratello, per aumentare la sua autostima e migliorare la sua capacità di espressione – sia che si possa credere o meno nella reincarnazione, - se il suo disagio non risiedesse in realtà in un triste segreto che pesa da anni nella sua famiglia e che grava sul suo cuore per colpa delle confidenze incoscienti che Olga ha condiviso con lei quando era ancora piccola, e che hanno influenzato inevitabilmente la formazione del suo carattere. In un'epoca nella quale eroine indipendenti come Anita sono solo un simbolo, e non vengono certo portate come esempio concreto per le giovani donne – figlie sorelle mogli madri – del panorama precostituito dell'ideale fascista, Elsa, come probabilmente sua madre prima di lei, è alla ricerca di un'individualità espressiva al di fuori degli schemi nei quali la sua famiglia, chi per affetto, chi per comodità, vuole relegarla. La sua voglia di libertà, l’originalità innocua del suo carattere finiscono per essere inevitabilmente fraintese e la ragazza si ritrova rinchiusa in una casa di cura in Svizzera dopo essere stata individuata dai carabinieri in giro di notte tutta sola per Roma. Dopo qualche inutile tentativo di fuga, grazie alla guida illuminata del dottor Vitali, medico illuminato che la spinge a confidarsi con lui seguendo le direttive della moderna psicanalisi e che la invita ad alleggerirsi del peso di colpe non sue. Ma anche a causa del sentimento spontaneo che la guida verso il giovane dottore Giuseppe D'Ambrosio – il “suo” Garibaldi, - Elsa riesce a trovare la forza di chiedere aiuto e di prendere coscienza di ciò che la limita e delle sue potenzialità, portandola a desiderare coraggiosamente di vivere la sua vita, non quella di un'altra persona o per forza inserita in una realtà scelta per lei da altri – che sia il regime o la sua famiglia, – e di esprimere in modo fermo la sua volontà. Una vita che è molte vite, come dirà al suo Giuseppe:
“A un tratto ho capito una cosa. Lasciar fluire pensieri, sogni, fantasticherie senza troppo spaventarsene può far capire che – che abbiamo in noi la potenzialità di moltissimi esseri viventi, e che nulla di umano ci è estraneo... Siamo tutti parte di uno stesso organismo; l'unico individuo, l'unica cosa davvero indivisibile, è l'universo. E allora, a ben rifletterci, nascita e morte non esistono neppure. E noi possiamo avere reminiscenze che attingono a un patrimonio condiviso, a vite già vissute – a qualcosa che ha un valore ancor maggiore, perché non è soltanto mio, ma – ma ha a che fare con tutto quello che mi ha preceduta. È forse la stessa spinta che porta a estendere i confini della vita oltre la propria morte, lasciando figli, opere, luoghi, disposizioni...”Come Nannerl e Maria Stella nei due precedenti romanzi di Rita Charbonnier, solo attraverso l’accettazione di sé stessa, la protagonista riesce a sconfiggere la paura e a trovare una sua dimensione all’ interno della società in cui vive per sviluppare una vita piena e soddisfacente. La possibilità di scegliere, nel cerchio ristretto del destino a lei riservato, esiste, e non è certo facile o priva di passaggi dolorosi, a volte apparentemente impossibili da superare. Ma anche la sola consapevolezza della sua presenza può essere lo sprone che porta ad affrontare questi ostacoli.
Condizione imprescindibile per lei è non tradire la sua natura, ma assecondarla, nel rispetto degli altri, per arricchire la propria esistenza e quella di chi la circonda. La balbuzie di Elsa è solo la punta dell’iceberg che rivela il suo disagio, è dura esprimersi chiaramente quando nessuno ti ascolta, anche solo per quanto riguarda i concetti più semplici. L'esperienza dell'ospedale svizzero, che esaspera la sua diversità, le fa toccare certamente il fondo della disperazione, ma grazie anche all'aiuto disinteressato dei suoi dottori ha la possibilità di potersi “osservare” dall’ esterno in modo oggettivo – come Elsa ma anche come Anita – e analizzare le motivazioni recondite e profonde che sono alla base del suo disagio. Esistono diverse strade che portano all'illuminazione, quella di Elsa non è certo la più semplice, ma la sua tenacia, oltre alla saggezza da lei conquistata lungo di essa, sono a dir poco sorprendenti e profondamente desiderabili. Nell’ esprimere il percorso di crescita emotiva e caratteriale di Elsa, lo stile di Rita Charbonnier si conferma come unico e originale. L’autrice riesce a descrivere la complessità dell'animo delle sue protagoniste in modo semplice, chiaro, mai banale, senza scadere in scontati sentimentalismi e con grande passione. Le descrizioni di situazioni e luoghi sono suggestive, l'ambientazione “moderna” e così vicina alla nostra epoca rende il romanzo estremamente attuale ma anche particolarmente vivo nel ricordo, considerando ad esempio le numerose riprese effettuate durante il fascismo. L'autrice utilizza le sue conoscenze del mondo del teatro in modo magistrale, donando anche a questo romanzo una realistica, consapevole fluidità che coinvolge il lettore senza appesantire la storia, e lo guida attraverso le vicende dei personaggi portandolo a immaginare vividamente, come di fronte ad una rappresentazione visiva o a un'esecuzione musicale, quello che vivono, sentono, sperimentano. Mi piace pensare a Rita, come le ho detto già durante il nostro incontro, ad un'artista a tutto tondo, capace di comunicare attraverso mezzi diversi le molteplici sfumature delle passioni umane – la musica e il canto, il teatro, la scrittura. Un dono unico e un'autrice che credo abbia molto da raccontare. Godetevi Le due vite di Elsa, in attesa della prossima storia che, spero, Rita vorrà presto raccontarci.BOOKTRAILER
L'AUTRICE: