L’invidia di Paragone per Saviano. Tutta colpa di una sinapsi scaduta

Creato il 22 ottobre 2010 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Nonostante la vita da semi recluso e l’impossibilità “di mangiarmi un gelato come fa la gente comune”, Roberto Saviano si porta appresso una scia viscida di invidia che non lascia manco Capezzone quando parla di Berlusconi. Non la destra, ma quelli del Pdl alias Partito dell’Amore (Perduto), non appena lo sentono nominare hanno un moto di stizza che riescono sempre meno a controllare. È più forte di loro, come qualcuno pronuncia “Roberto Saviano” danno di matto e, o lo prendono per il culo (come ha tentato di fare Gianluigi Paragone ieri sera ad Annozero) o cercano di delegittimarlo facendolo apparire come un affamato di gloria e di denari (come Maurizio Belpietro ieri sera sempre ad Annozero). Perché nonostante tutto, cari amici, compagni, fratelli e soprattutto sorelle, chi rema contro il Capo deve essere distrutto, la sua fama deve diventare nomea, i suoi atti peccati. Che poi l’Accademia di Svezia (quella che assegna i Nobel), lo chiami a Stoccolma per tributargli un omaggio insieme a Salman Rushdie e li definisce entrambi “vessilli di libertà” è un discorso che non interessa a nessuno del popolo pidiellino, visto quello che dissero dell’Accademia quando assegnò al “saltimbanco” Dario Fo il Nobel per la letteratura. Gianluigi Paragone è la versione giornalistica del “Trota”, tutto papà e camicia verde. Ha iniziato la sua carriera a Telepadania, è stato condirettore di Libero prima di essere assunto per meriti politici alla Rai dove, addirittura, è diventato vicedirettore di RaiDue. Una carriera fulminante per un giornalista che non da nessuna notizia ma propagandeggia e che prova un’invidia terribile per Fabio Fazio, Giovanni Floris, Michele Santoro, Bruno Vespa e, abbiamo appurato ieri sera, per Roberto Saviano. La loro unica colpa, secondo il Paragone pensiero, è quella di prendere più soldi di lui tanto che, a un certo punto, ha cercato di far capire agli italiani che lavora per 1000 euro a puntata, tralasciando però di dire che viene già lautamente pagato dalla Rai di cui è un dipendente. I 1000 euro a puntata di Paragone hanno scatenato l’ira di Michele Santoro il quale ha ricordato che fino a quando è stato dipendente Rai, per le sue trasmissioni di approfondimento non prendeva una lira in più dello stipendio, cosa che è accaduta anche a Floris e Bruno Vespa che, solo dopo essersi licenziati hanno potuto pretendere dalla tivvù di Stato un prezzo di mercato per le loro trasmissioni, per la serie “Funziono? Pagami”. Ma Paragone, che è uomo di una cultura talmente profonda da sconfinare negli abissi e nessuno la vede, a un certo punto ha cominciato a ridere delle frasi di Saviano, facendogli da eco e sottolineando che “sono sempre le stesse cose”, come se uno che parla dei mali dell’Italia ogni volta che lo fa fosse costretto all'uso di sinonimi e contrari solo per farlo felice. Il Gianluigi nostro (nessuno può immaginare quanto mi stiano sulle palle i nomi composti), si è dimostrato un dilettante, e non si offenda, se paragonato a Belpietro, il maestro inarrivabile della contraffazione legalizzata, quello che riuscirebbe a spacciare per un Rolex perfino una patacca di plastica cinese. Armato della scheda tecnica di “Vieni via con me” (ovviamente senza gli allegati), che non si sa bene in che modo si sia procurato, prima ha cercato di far apparire la trasmissione di Fazio e Saviano una sorta di stupido contenitore in cui si sarebbe parlato di tutto poi, visto che la cosa non gli era granché riuscita perché Masi non aveva inviato per fax anche gli allegati, l’ha buttata sull’aspetto economico. Il costo di “Vieni via con me” sarà di 2milioni e 816 mila euro per quattro puntate, il che porta all’astronomica cifra di 704mila euro a puntata che per una prima serata è un’inezia. Il non dire il costo a puntata ma quello complessivo è stato un modo neppure troppo intelligente di far passare Saviano per un esoso affamato di soldi e pure un paraculo professionista dell’anticamorra. Per chi ha un padrone che si vanta di avere 20 case ci è sembrato oggettivamente troppo, soprattutto quando lo stesso padrone invece di rispondere alle domande di un giornalista lo querela preventivamente e, contemporaneamente, si fa approvare uno scudo legale che lo tutela non dagli atti commessi da presidente del consiglio, ma da imprenditore creatore di 64 società off-shore. Quello che ci ha sorpreso ieri sera è che nessuno abbia domandato a Belpietro a che punto sono le indagini sul suo vile attentatore. Considerato che il personaggio in oggetto non si può assolutamente considerare un professionista del crimine (un killer di professione avrebbe comunque portato a termine il lavoro), e considerato che questo è il governo che ha messo in galera il più alto numero di criminali nella storia repubblicana, ci sembra davvero strano che le indagini siano arrivate a un punto morto e che più nulla si sappia di un atto che tanta riprovazione e sdegno ha suscitato nell’opinione pubblica italiana stretta intorno al più grande giornalista di sempre. È chiaro che, nonostante sforzi immani, non sono ancora riusciti a trovare il Tartaglia di turno. Oddio, all’angolo del palazzo di Belpietro staziona Mohammed Esposito che vende accendini taroccati, ma un eventuale coinvolgimento dell'arabo-napoletano potrebbe risultare sospetto.

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