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LE PERLE DI OCTAVE | Octave Mirbeau | Le perle morte e altri racconti

Creato il 22 giugno 2015 da Amedit Magazine @Amedit_Sicilia
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octave_mirbeau_le_perle_morte_il_canneto (2)di Massimiliano Sardina

Scritti tra il 1882 e il 1900, tra il lento declinare della Belle Epoque e l’insorgere delle prime Avanguardie, questi racconti di Mirbeau si collocano emblematicamente tra la dimensione onirica – prefreudiana, visto che Die Traumdeutung uscirà solo nel

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1900 – e quella più strettamente contingente. Scrittore rivoluzionario e già moderno, giornalista instancabile, politico militante, autore di testi teatrali e raffinato critico d’arte, Mirbeau è calato anima e corpo nel cuore problematico del suo tempo, e lo dimostrano i suoi graffianti pamphlet sull’Affare Dreyfus (pubblicati nel decennio a cavallo tra i due secoli). Scrittore incollocabile, grande anticipatore delle destrutturazioni operate dalle Avanguardie artistiche del primo Novecento, Mirbeau ha sempre puntato la sua penna acuminata contro l’ipocrisia delle ideologie istituzionalizzate, e di fatti tutta la sua potente scrittura mira a scarnificare, a scoperchiare, a rivelare, a mettere in luce. Il rituale dello smascheramento come pratica civilizzatrice non risparmia nessuno dei cliché borghesi, a cominciare dalla famiglia (ma le sferzate più efficaci lo scrittore le riserva alla religione, come si evince dai romanzi L’Abate Jules e Sebastian Roch). Mirbeau, pur con una vena di rassegnazione e placido relativismo, denuncia tutto ciò che limita o impedisce l’autonomia dell’uomo, l’espressione della sua personalità e l’esercizio della sua libertà. Impossibile parlare di Mirbeau senza nominare Pierre Michel – curatore dei Cahiers Octave Mirbeau e massimo studioso dell’opera mirbeauiana – alla cui saggistica (purtroppo ancora inedita in Italia) rimandiamo per ogni esaustivo approfondimento.

Fresco di stampa per Il Canneto Editore, la piccola preziosa antologia Le perle morte e altri racconti raccoglie cinque storie grottesche e surreali, cinque brevi ma intensi incubi, vicende d’invenzione (a tratti vagamente hoffmaniane) non ispirate da fatti di cronaca, ma è proprio la loro conclamata irrealtà che le rende maledettamente reali, tangibili, quotidiane. Tre dei cinque racconti (Le perle morte, Le acque mute e La testa tagliata) compaiono per la prima volta in traduzione italiana, a firma del poeta Albino Crovetto. Lo scrigno delle perle morte si apre con La camera chiusa e si chiude con la Scena di folla: da un luogo costretto e perimetrato (un classico del giallo) a uno aperto, affollato. Ne La camera chiusa una bambina-esca procura prede umane ai suoi genitori (la famigliola tanto ben vista nel quartiere si rivela un covo di criminali sanguinari). Ne Le acqua mute l’avidità del padrone viene punita con la morte; la vicenda si svolge su un peschereccio in alto mare, tra atmosfere che richiamano certe superstizioni bretoni, e qui il comandante muore in un agguato, ucciso (punito) dai suoi marinai. Dalle acque mute si leva una sonora bestemmia: è l’invocazione della vittima, già affogata, che prega di risparmiare la giovane vita di un mozzo testimone del crimine (l’elemento soprannaturale si pronuncia e poi subito si azzittisce, rivelando una realtà cruda).

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Ne La testa tagliata (dedicato all’autore de Le diaboliche, Jules Barbey d’Aurevilly) protagonista è una coppia tanto banale quanto grottesca. Lei ha bellissime mani ma ha il viso orrendamente deforme, come deforme è la sua interiorità nefanda e avida di denaro. Il marito, inspiegabilmente innamorato e soggiogato (un tipico caso da Sindrome di Stoccolma), s’adopera in mille mestieri pur di soddisfare le continue assillanti richieste di denaro. Anche le belle mani, arraffatrici, della donna abbruttiranno. Lui, per placare l’insaziabile fame di denaro della mostruosa moglie, arriverà a regalarle la testa decapitata di un collega, svuotata del cervello e farcita di banconote. In Scena di folla ritroviamo una coppia. Lui persona tanto posata e stimata, dà di matto quando entrando in casa incappa nel corpo esanime della moglie (probabilmente morta per un incidente domestico). Per i vicini, per la polizia e per la folla che accorre alle sue grida disperate, non c’è alcun dubbio: l’assassino è lui.

Ne Le perle morte, vero gioiello di questo piccolo scrigno, Clara Terpe è una donna bella e ricca come una regina d’altri tempi, una collezionista di perle rare (affamata di vita, di sensualità e di piaceri esclusivi) che improvvisamente s’ammala di una sfigurante inguaribile elefantiasi. La malattia (misteriosa perché legata alle nevrosi psicosomatiche) fagociterà progressivamente la sua bellezza e si rivelerà fatalmente corrosiva anche per le sue amate perle. A contatto col suo corpo infettato dall’esiziale morbo le perle muoiono, una dopo l’altra, perdendo luce e biancore, e divenendo cenere. Alla povera Clara Terpe non resterà che rinchiudere le perle sopravvissute in una teca, per preservarle dal contagio «… Le guarda soltanto, e con quanta paura ancora, attraverso una tripla armatura di vetro, sotto la quale le perle sembrano scolorire e piangere… come piccole anime prigioniere che non sentiranno mai più la gioia del sole, e la gioia dei baci, e la gioia di sentir battere i cuori sotto la pelle illanguidita dall’amore…»

Ecco lo smascheramento operato dalla scrittura mirbeauiana. Non c’è patina che non nasconda il lercio. Non c’è luce che non trattenga il buio.

Massimiliano Sardina

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Cover Amedit n° 23 – Giugno 2015 “Il ragazzo dagli occhi di cielo” by Iano

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