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“Tutto ciò che dico e faccio accade senza il mio volere, nel senso più vero della parola io vengo vissuto, sì, sono persino in dubbio se nel mio caso si possa ancora parlare di un io”. Con queste parole Georg Groddeck, attraverso il suo alter-ego Thomas Weltlein, parla della sua trasformazione in una pagina dello Scrutatore d’anime, e non è difficile riconoscere in questa assenza di io lo stato di non-mente che, ad esempio, le filosofie orientali identificano con la liberazione. Quando rileggo queste righe non posso non pensare a ciò che generalmente viene associato al dolore, alla follia, alla malattia. Le esperienze definite come negative sono quasi sempre caratterizzate dalla paura o dalla sensazione di perdere se stessi. In questi anni di pratica come naturopata ho incontrato una quantità enorme di persone, le quali sostanzialmente cercavano modi per liberarsi dal rischio di perdere se stesse, oppure modi per progredire nella ricerca di se stesse, o entrambe le cose.
Ma cos’è l’io? Cos’è per noi essere o diventare “noi stessi”?
Se proviamo a rispondere a questa domanda, scopriamo che la risposta, se c’è, non è affatto scontata. Ci sono molteplici aspetti, ma in questo articolo accennerò soltanto ad uno, la tendenza a ritenere che “noi stessi” siamo ciò che coscientemente sappiamo di noi, e ciò che vogliamo, le nostre libere scelte.
Di solito diamo una forte importanza identitaria a ciò che riteniamo di volere, o di aver voluto. Le scelte sembrano determinare ciò che siamo, in relazione a ciò che accettiamo, e ciò che non siamo, in relazione a ciò che rifiutiamo. Perciò “io” potrei essere quell’identità che si definisce in relazione alle altre, distinguendosi, tracciando delle linee che dividono o uniscono. Per esempio, Marc potrebbe definire se stesso come un ragazzo aperto, amante della libertà e della creatività, avverso a ogni forma di ingiustizia e razzismo, perché queste sono le cose che sceglie o rifiuta. Queste definizioni, basate su ciò che Marc coscientemente crede di se stesso e sulle scelte che ritiene di aver fatto o di fare ogni giorno, presuppongono che egli sia ciò che egli liberamente vuole, ovvero che abbia almeno in buona parte coscienza di sé.
Queste osservazioni sono importanti anche perché, in generale, la nostra idea dell’”io” di un’altra persona, che può farcela amare o odiare, si basa su ciò che quella persona mostra di scegliere o rifiutare, di preferire o avversare.
Osserviamo ciò che accade in numerosi altri momenti della nostra vita. Quante volte reagiamo ad una frase, ad un gesto come non avremmo voluto? Quante volte ci troviamo di fronte a desideri ed emozioni più forti di noi, moti irresistibili contro i quali possiamo ben poco? Rabbia, attrazione, paura, desiderio, speranza appaiono in noi da soli, spontaneamente, forti di una carica che spesso i nostri atti di volontà non hanno. Con le emozioni siamo in presenza di forze che sembrano originare altrove rispetto ai pensieri, ai sentimenti e alle intenzioni coscienti. Queste correnti, sia che le percepiamo come positive che come negative, appaiono in noi, ci attraversano, ci muovono e ci condizionano, agiscono nella nostra vita, ci spingono a fare delle scelte le cui implicazioni a volte ci divengono comprensibili anche dopo molto tempo. Possiamo dire che queste emozioni non siamo “noi”? Possiamo pensare di poterle rifiutare, di poter lottare per dominarle, ma escluderle dalle linee che definiscono il nostro io è qualcosa che possiamo fare solo arbitrariamente.
Se ci osserviamo nella maggior parte del nostro tempo, di fatto noi veniamo vissuti proprio come Groddeck-Weltlein dice.
E cosa ne è delle scelte coscienti? Che ne è del libero arbitrio? Proviamo a osservare cosa accade quando compiamo una scelta. Di fronte a due possibilità, fare o non fare, volere o non volere, in base a cosa scegliamo? Per esempio in base a ciò che riteniamo giusto o ingiusto, desiderabile o indesiderabile. Ma abbiamo scelto questo? Se Marc sceglie un vestito nero anziché giallo, può sentire di avere il controllo quando lo fa, ma se sceglie il nero perché lo preferisce, non ha comunque scelto di preferirlo. Dunque anche il libero arbitrio si appoggia su inclinazioni involontarie, le cui origini spesso neanche conosciamo, e se Marc volesse indagare come è arrivato a preferire il nero al giallo, necessariamente entrerebbe nella sfera del non cosciente e del non volontario. Perciò, se “noi” siamo le nostre scelte, non possiamo non includere in questo le loro radici involontarie.
E cosa resta?
C’è una forte resistenza in noi ad accettare l’esistenza di queste singolari forze, e l’idea che la nostra vita sia interamente sostenuta da esse è difficile da mandare giù se amiamo vederci come coloro che stanno alla guida della propria esistenza. Ma l’io sembra piuttosto il passeggero di una nave senza timoniere, guidata dalle onde, e possiamo percepire questo come spaventoso o come liberatorio. Probabilmente, se desideriamo identificarci con il timone, o la nave, ci sentiremo in balia di movimenti spaventosi. Ma se guardiamo il movimento dal punto di vista delle onde, lo sentiremo armonico, forte, sicuro.
Groddeck-Weltlein dice ancora: “Vedi, io ho scoperto qualcosa, qualcosa che tutti sanno e che pure nessuno sa, qualcosa che rivoluziona il pensiero. Noi uomini crediamo di vivere, ma non è vero. Veniamo vissuti e nulla accade che non debba accadere. Questa è un’antica verità, sembra, soltanto non è mai stata capita, non è mai stata vissuta. Quando penso a come sono diventato, veggente e felice. E a come, ovunque io vada, mi segua la pace, e calma e serenità irradiano da me, solo perché io conosco e riconosco la forza che regge tutti noi e ci vive…”
Stefano Riccesi