Il verdetto sulle recenti svalutazioni monetarie cinesi è diverso a seconda di chi si ascolta. Per alcuni, le svalutazioni sono sia un passo positivo e responsabile verso un tasso di cambio maggiormente determinato dal mercato sia un passo verso un sistema finanziario più libero. Per altri, sono potenzialmente distruttive, sono svalutazioni competitive del tipo beggar-thy-neighbour che mirano a sostenere la crescita di un PIL in declino attraverso una spinta sleale alle esportazioni.
Nel tentativo di fare chiarezza, iniziamo con lo spiegare cos'ha fatto esattamente la Cina. Ogni giorno la Banca Popolare Cinese fissa un tasso di riferimento per il renminbi e permette che il suo valore fluttui intorno a questo punto all'interno di una banda di oscillazione del 2%. La recente mossa cinese ha semplicemente permesso che questo punto di apertura venga determinato in misura maggiore dalle forze di mercato, basandosi sulle negoziazioni del giorno precedente. Sono proprio quelle forze di mercato che han prodotto la svalutazione. In questo modo si potrebbe affermare che il governo cinese non abbia affatto svalutato la propria valuta. Ha semplicemente aperto leggermente di più la porta al mercato e son state quelle stesse forze di mercato le responsabili della caduta del renminbi.
Coloro che criticano il comportamento cinese e che hanno a lungo spinto affinché il paese di Xi Jinping permettesse alla sua valuta di fluttuare più liberamente (col presupposto che questo porterebbe ad un apprezzamento della contrazione delle esportazioni) adesso si trovano loro stessi in una posizione difficile. Criticare la Cina per aver fatto quello che sostenevano, semplicemente perché si è ottenuto l'effetto contrario a quello desiderato, sa molto di ipocrisia.
Si potrebbe argomentare che i movimenti valutari della Cina non riguardano affatto il commercio ma piuttosto l'obiettivo più ampio di permettere una valutazione monetaria più guidata dal mercato, creando una maggiore apertura nel conto capitale ed istituendo eventualmente il renminbi come valuta di riserva internazionale. In sostanza, la Cina sta facendo quello che il Fondo Monetario Internazionale e la maggior parte dei governi occidentali le hanno a lungo richiesto. Infatti, anche il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti - un'istituzione che nel passato non ha evitato di criticare le politiche valutarie della Cina - ha rilevato che le azioni cinesi sono state 'un ulteriore avanzamento nel suo passaggio a un tasso di cambio maggiormente determinato dal mercato'.
Su quali basi allora alcuni analisti e funzionari attribuiscono motivazioni molto più nefaste ai recenti movimenti valutari? A grandi linee, l'argomentazione è tipo questa: dopo più di tre decenni di crescita stratosferica a doppia cifra, l'economia cinese è in difficoltà. Il modello di sviluppo incentrato sulle esportazioni che ha portato la crescita cinese fino a questo punto è quasi giunto al termine. La crescita futura della Cina, e la sua capacità di superare la tanto temuta trappola del reddito medio, dipenderà dalla sua bravura nel condurre la difficile transizione lontano dalle esportazioni a basso costo (possibili grazie a un tasso di cambio favorevole) e verso una crescita maggiormente guidata dalla domanda interna.
Ma essendo che questa tesa transizione si realizza lentamente, ci si chiede se ci siano dei limiti su quanto rallentamento economico gli ufficiali cinesi tollereranno. Con l'indebolimento delle esportazioni, aggravato da una domanda interna fragile e una produzione industriale fiacca - senza nulla dire riguardo a un significativo eccesso di debito causato dallo stimolo del 2008-09 - perfino il tasso di crescita relativamente modesto del 7% è a rischio. I policy maker cinesi sono sotto una pressione crescente per prendere delle misure che inneschino un processo di crescita.
Così - secondo questo punto di vista - la Cina è tornata ad attingere alla sua "vecchia borsa dei trucchi" e ha cercato, ancora una volta, di mandare su di giri il motore delle esportazioni per dare alle sua economia affievolita una tanto necessaria "boccata d'ossigeno".
Certamente, visto quanto si è apprezzato il renminbi negli ultimi anni (più del 30% nei confronti del dollaro dal 2008), rimane da vedere solo quanto aumenteranno le esportazioni in conseguenza alle recenti svalutazioni. Ma dato il passato, la sensibilità e i margini estremamente ristretti in molte industrie di esportazione, la mossa cinese ha riacceso sospetti profondi tra molti dei suoi partner commerciali e ha assicurato che l'argomento sarà un tema caldo di discussione quando il Presidente Barack Obama e il Presidente Xi Jinping si incontreranno a Washington a fine settembre 2015.
Nonostante gli alti e bassi nella conversazione tra i due presidenti, possiamo dire comunque con certezza che la gestione cinese della sua economia non sarà legata a nessuna rigida dottrina. Le reazioni politiche qualche volta penderanno verso un maggior orientamento al mercato e in altre occasioni (come nel caso dei pesanti interventi recentemente avvenuti nel mercato azionario) il governo avrà la mano ferma sulla guida dell'economia. Il Presidente Xi ha messo in chiaro che guarda alla stabilizzazione dell'economia come il "centro di tutto" - punto e basta. Bisogna aspettarsi qualsiasi misura, indipendentemente dalla dottrina, che venga schierata per perseguire questo obiettivo.
Quindi, come dobbiamo interpretare i recenti movimenti valutari? È un altro passo graduale nel processo di riforma in corso riguardo al settore finanziario o un tentativo appena velato per incrementare in modo sleale le esportazioni? Argomenti validi sono stati espressi da entrambe le parti. La vera prova ci sarà quando le forze del mercato inizieranno a spingere il renminbi verso una significativa (e causa di riduzione delle esportazioni) rivalutazione. La Cina permetterà al sentimento del mercato di dominare o vedremo degli interventi di mercato, diretti o indiretti? Rimanete sintonizzati.
Ma una cosa sembra chiara. L'ordine di marcia dei responsabili politici cinesi sono innanzitutto la stabilità, la riforma quando è conveniente, il pragmatismo sempre.
Traduzione dall'inglese di Arianna Scotto