Incipit
L’incontro era iniziato alle otto di sera. La prima pausa ci fu alle dieci.«Caffè?» I tre Sottocoda annuirono e l’Italiano suonò il campanello. Nello studio ci fu silenzio per la breve pausa dedicata al caffè, un silenzio teso, agitato per quanto era stato detto, ordini e commenti, e per quanto era stato deciso.L’Italiano posò la tazzina sul tavolo, l’allontanò per fare posto di nuovo alle carte, che consultò, e poi, posando il dito sulla chiazza scura sul fondo azzurro mare e, all’apparenza soddisfatto, mormorò: «Bene, mi pare che abbiamo affrontato ed esaurito tutti gli argomenti».Gli restavano dei dubbi, che non aveva intenzione di trasmettere ai Sottocoda. Ne avrebbe forse parlato al Vecchio, più tardi, quando i tre se ne fossero andati ad eseguire gli ordini ricevuti.«Quanto abbiamo discusso e deciso qui, oggi, qui e per sempre deve restare» disse. Puntò lentamente l’indice sui tre, uno dopo l’altro. «Se si verrà a sapere dove porteremo il prigioniero e a quale fine è destinato, uno di voi avrà tradito e allora…» Si alzò per scandire con lentezza: «Non lo permetterò!»La riunione pareva conclusa, ma nessuno dei Sottocoda si alzò. Mancava qualcosa agli ordini ricevuti. L’Italiano lo sapeva e di proposito non aveva comunicato l’ultima sua decisione. Passò di nuovo in rassegna i tre. «Non resta che stabilire a chi affidare la custodia del prigioniero» e attese una proposta che, sapeva, non gli sarebbe venuta. Indicò uno dei tre, il più massiccio, quello che sempre si era dimostrato, fra loro, il più deciso.«D’accordo» disse quello, «i miei uomini sono fidati. Rispondo di loro personalmente.»Con uno sguardo l’Italiano chiese agli altri due se c’erano obiezioni e, non venendogli, annuì.I tre erano alla porta e l’Italiano li fermò con una frase che non ammetteva discussioni. «Ricordate: sparare a vista contro chiunque tentasse di impadronirsi del prigioniero!» I tre annuirono. «Piuttosto che lasciarlo cadere nelle mani di chicchessia o lasciarlo fuggire, dovrà essere soppresso!»Usciti i tre, anche l’Italiano lasciò lo studio e raggiunse il Vecchio.Lo attendeva da ore in un salotto all’altro capo del palazzo. Leggeva il giornale e sospese al suo ingresso. Si tolse gli occhiali, ripiegò il giornale e lo posò sul tavolo.«Tutto a posto?» chiese. L’Italiano annuì. «Dove lo avete fatto portare?»«È al sicuro» rispose quello. «L’ho fatto portare molto lontano da qui. Non ne uscirà vivo.»Il Vecchio annuì con gesti lenti del capo, com’era abituale per lui quando voleva rappresentare la sua soddisfazione. Si prese il tempo per accendere un sigaro e, mentre lo faceva, continuò a scrutare il viso del Capo. Una prima, breve boccata di fumo… La prima deve sempre essere breve. Non fa arrivare in bocca il fumo troppo caldo e l’aroma resta delicato, in attesa dei quello più forte, quando il sigaro avrà preso bene e si sarà ammorbidito per l’umidità dell’aria filtrata fra le foglie arrotolate. Una prima, breve boccata di fumo e «Cosa non va?» chiese sottovoce.L’Italiano non rispose subito. Pensò a come affrontare un argomento che, nell’intera faccenda, non lo aveva convinto. Fu sollecitato dall’agitarsi impaziente del sigaro fra le dita del Vecchio e allora disse: «Non sono del tutto convinto che la sua morte ci possa giovare.»Il Vecchio si rilassò sulla poltrona, aspirò e gettò fuori lentamente il fumo. Chiuse gli occhi e mormorò: «Tranquillo, tranquillo, la morte è il solo avvenimento che giovi alla vita di un uomo».
Dai sotterranei della città felsinea, che Macchiavelli ha già raccontato nel libro “I sotterranei di Bologna”, alle rovine de l'Aquila, una ferita ancora aperta dopo il terremoto dell'aprile 2009.
Dagli ultimi anni della seconda guerra mondiale, quando l'Italia si ritrovò allo sbando, senza Re, senza governo, senza stato, fino ai giorni nostri, dove non ci sono più guerre (almeno ufficialmente) ma le democrazie devono affrontare l'emergenza del terrorismo internazionale. Con strutture e agenti anche poco ortodossi.
L'ironia della scimmia è un romanzo che si muove nel tempo e nello spazio e che ruota attorno ad un furto di un quadro, poco noto “La scimmia che ride”, del pittore settecentesco Francesco Malagoli.
Un quadro che ritrae una scimmia con in mano un lume, o “bugia”: un quadro all'apparenza senza troppa importanza, ma per cui qualcuno è anche disposto a uccidere.
Cosa ha così importante? Cerca di spiegarlo, a modo suo, l'autore alla fine: “Sarà forse una coincidenza uscita per caso dal pennello di Malagoli, pittore modenese del settecento, ma la bugia che la strana scimmia umana tiene sospesa a mezz'aria nella sinistra, è sì uno strumento a uso di piattellino con bocciuolo per adattarvi una candela, e quindo per illuminare e illuminarci, ma è anche menzogna, falsità”.
La bugia, il grande inganno, è qualcosa che lega assieme le dittature che hanno portato l'Europa alla carneficina della Seconda guerra mondiale, con gli accordi vergognosi che queste avevano fatto con le presunte democrazie: accordi, lettere, scritti, segreti politici che potrebbero gettare vergogna, forse, ancora oggi passati più di sessant'anni.
Un romanzo che parte dal furto di auto, di cui l'ispettore “èverocomesidice” Raimondi Cesare incarica il sergente Sarti Antonio (ma non si chiamano sovrintendenti, dopo la riforma del 1981?), per diventare poi un caso per omicidio. Nella jeep rubata all'elegantone signor Giulio Messini, un imprenditore molto influente, viene ritrovato un cadavere di una ragazza. Chi l'ha uccisa e perché? Forse c'entra qualcosa Marcella Carlotti, per gli amici Rasputin, ladra di auto, nonché amica di Sarti Antonio e ex fidanzata del signor Messini.
Non solo, nell'auto viene ritrovato anche un mitra Sten della seconda guerra mondiale.
A complicare le cose, un secondo furto, sempre a danno dell'elegantone: è il famoso quadro, singolare ed enigmatico, La scimmia che ride. Come hanno fatto i ladri ad entrare nella cantina, blindata e sottoterra, della casa dell'imprenditore? E come mai i ladri non si sono portati via altri quadri, ben più di valore?
Sarti Antonio si trascina allora, con la sua colite, nei sotterranei della città, facendosi accompagnare dal “Pellicano” (un ladruncolo che la sfanga conteggiando vecchie signore), per capire in che modo il ladro o i ladri sono entrati nel palazzo di vicolo dei Sampieri.
E nel frattempo Ras scappa verso l'Aquila, incrociando la sua fuga con tale Samir, sospetto terrorista islamico e qui si incrocia con una coppia di killer che parlano inglese, tesparapata e acido.
Chi sono questi due, che inseguono la coppia e che per farli scappare dalla prigione dei carabinieri (dove sono stati portati per accertamenti) non esista a fare un massacro?
Sarti Antonio si ritrova all'improvviso dall'altra parte della barricata: viene chiamato a l'Aquila dal tenente dei carabinieri Federici, come “persona informata sui fatti”. Perché Ras, di fronte ai carabinieri aveva fatto il suo nome.
Polizia e carabinieri pronti alla collaborazione per capire le ragioni della scia di sangue? Può succedere anche questo, perché alla fine, dopo essersi annusati un po', decidono di fidarsi l'un con l'altro.
E, per completare il quadro, all'Aquila si ritroveranno anche Rosas, “il talpone”, l'amico insegnante universitario, e l'agente Salvatrice Principato. Tra le macerie dell'Aquila e le montagne attorno, come Castel del Monte, tra passato (il capobanda, il macellatore) e presente, si arriverà ad un frenetico finale. Che non risolve tutti i dubbi (vi ricordate la parole dette dall'autore sulla bugia in mano alla scimmia?).
Questo ultimo romanzo di Macchiavelli , molto colto ma anche pieno di azione, racconta delle bellezze di un tempo della città di Bologna, dell'Aquila distrutta, dei giovani morti nella casa dello studente.
Un romanzo con al centro il personaggio di Sarti Antonio, sergente
“che ha una carriera alle spalle, e anche davanti, che potrebbe prendere la vita molto più alla leggera. Vivere alla giornata, come si dice, e prendere ciò che passa il convento. Non lo fa, non ci riesce. Si porta dentro la cultura dell'onestà che gli ha inculcato la famiglia, il padre soprattutto. Se non fa il proprio dovere, non si sente tranquillo. Gli rimorde la coscienza. Che poi è un modo di dire. Dove sta la coscienza? Nel cervello o nel cuore? Nello stomaco o nella pancia, dove alberga stabilmente la colite? Forse non sta da nessuna parte, ma al mio questurino rimorde lo stesso. Un difetto di nascita. C'è chi nasce con una gamba più corta o strabico o con una protuberanza nella nuca, che non è nulla e si nasconde sotto la chioma... Sarti Antonio, sergente, è nato con una coscienza. Che è la cosa peggiore per un essere umano.”Il romanzo di apre con una dedica agli aquilani:
Ai meravigliosi aquilani e alla loro pazienza.
Nel caso la perdessero, la mia totale comprensione e la mia solidarietà.
loriano
Il link per ordinare il libro su ibs
Il sito dello scrittore, Loriano Macchiavelli Technorati: Loriano Macchiavelli