L’irrefrenabile voglia di lasciare il segno #2

Creato il 04 febbraio 2011 da Abattoir

Casa di Giulietta fuori del cancello - Foto di Andrea Ventura

Testo di Alexia Mangano

Nella tarda sera di una Verona spettralmente avvolta dalla nebbia ci avventuriamo, lungo vicoli e vicoletti , alla ricerca del ” famoso Balcone”; sì… il famoso balcone, quello di Giulietta. Eh già, perché, qualora non lo sappiate, in quel di Verona c’è un edificio, risalente al tredicesimo secolo, ( una restrutturazione totale avvenuta nel ventesimo secolo gli ha conferito, però, l’aspetto attuale) appartenuto ad una certa famiglia Cappello, nella quale si è voluta riconoscere quella dei Capuleti, la qual cosa ha fatto si che si identificasse quella come la casa della shakespeariana Giulietta (anche se questa è un puro personaggio di fantasia).

Dopo esserci persi per stradine silenzose, finalmente troviamo la via che un gentile passante, a cavallo della sua bici, sebbene ci fossero 4 gradi sotto zero, ci aveva indicato.
Ma guarda e riguarda, stavamo quasi per passare avanti senza avere visto niente di romanticamente simile a quello che immaginavamo, quando, colti da un barlume di spirito osservativo, leggiamo la targhetta affissa al muro e indicante la nostra casa di Giulietta. Orrore!
Premesso che il balconcino non è immediatamente visibile, perchè si trova all’interno di un cortile che di sera rimane chiuso al pubblico, la cosa sconcertante in sommo grado e quasi drammatica è che la facciata dell’edificio è letteralmente invasa e ricoperata di scritte di ogni colore e carattere che ci informano di presunte unioni indissolubili ed eterne.
A bocca aperta ci guardiamo esterefatti. Andrea lentamente prende la sua macchina fotografica e senza fiatare inizia a scattare, in preda a raptus, una dopo l’altra, foto allo scempio sui muri.
Ora dico io, ragazzi miei e anche signori un pò attempatelli, ma chi ve lo fa fare di distruggere, rovinare, maltrattare quei poveri muri la cui colpa è solo quella di fornire un attrazione turistica in più ad una città come Verona che già ha la sua bella Arena?

E pensate che per permettere a queste orde di innamorati incontinenti di scrivere le loro frasi romantiche sono stati posti dei pannelli removibili nell’androne di accesso al cortile sul quale si affaccia il famoso balcone; ma questi non sono bastati a contenere lo spasmodico desiderio comunicativo di giovani e meno giovani amanti, i quali hanno adottato come diario del loro amore sia i muri interni del cortile sia i muri esterni al cancello che al calar delle tenebre chiude la dimora; questi ultimi divengono così le uniche pagine ancora aperte quando, giusto la notte, un impellente bisogno di scrittura coglie i nostri colombi.

Come è abbastanza noto, grazie anche all’influsso “benefico” di fortunati best seller letterari e successivi film per adolescenti in calore, gli innamorati contemporanei, sono molto spesso alle prese con lucchetti e chiavi da gettare in acque profonde e per non perdere tempo non si lasciano scappare niente; e così, oltre a incidere il proprio amore su corteccie di alberi e tavoli dei pub, quando sono talmente fortunati da vivere o passare per Verona, ecco che corrono lì, a “casa di Giulietta”, eroina simbolo per eccellenza dell’amore più viscerale, perfetto e brutalmente contrastato fino alla morte, e per rendere immortale il loro amore insozzano un edificio che, sebbene rappresenti la dimora di un personaggio emblematico, è pur sempre una costruzione da rispettare, se non altro per il tempo che i suoi mattoni si portano sopra.
Malgrado tutto, probabilmente, queste persone non sanno che non è in questo modo che garantiscono l’infrangibilità al loro sentimento, ma lo banalizzano tristemente e ne svuotano i più nobili contenuti.

Ma lasciamo che sia il miele che stilla da ogni parola di un sospiroso languido Romeo (sebbene fuori tempo e fuori moda) che canta la beltà della sua Giulietta affacciatasi al balcone, a donarci per qualche istante, anche ai più scettici, un guizzo di quell’eternità amorosa che, solo vestita di vera arte, può cavalcare il tempo:

Oh, quale luce vedo sprigionarsi lassù, dal vano di quella finestra? È l’oriente, lassù, e Giulietta è il sole! Sorgi, bel sole, e l’invidiosa luna già pallida di rabbia ed ammalata uccidi, perché tu, che sei sua ancella, sei di gran lunga di lei più splendente. Non restare sua ancella, se invidiosa essa è di te; la verginal sua veste s’è fatta ormai d’un color verde scialbo e non l’indossano altre che le sciocche. Gettala via!… Oh, sì, è la mia donna, l’amore mio. Ah, s’ella lo sapesse! Ella mi parla, senza dir parola. Come mai?… È il suo occhio che mi discorre, ed io risponderò. Oh, ma che sto dicendo… Presuntuoso ch’io sono! Non è a me, ch’ella discorre. Due luminose stelle, tra le più fulgide del firmamento avendo da sbrigar qualcosa altrove, si son partite dalle loro sfere e han pregato i suoi occhi di brillarvi fino al loro ritorno… E se quegli occhi fossero invece al posto delle stelle, e quelle stelle infisse alla sua fronte? Allora sì, la luce del suo viso farebbe impallidire quelle stelle, come il sole la luce d’una lampada; e tanto brillerebbero i suoi occhi su pei campi del cielo, che gli uccelli si metterebbero tutti a cantare credendo fosse finita la notte. Guarda com’ella poggia la sua gota a quella mano…
Un guanto vorrei essere, su quella mano, e toccar quella guancia!

Romeo e Giulietta. Atto secondo, scena seconda.


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