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L’irresistibile amore per il pallone

Creato il 25 giugno 2010 da Massimoconsorti @massimoconsorti

L’irresistibile amore per il pallone. E tutti piansero.A volte non rientrare fra i cinquanta milioni di commissari tecnici della nazionale di calcio, è davvero una gran fortuna. Non avendo ancora capito se di calcio ne capiamo qualcosa, quello che è successo ieri ci ha profondamente immalinconito, anche se le lacrime siamo abituati a versarle per altri problemi e situazioni. Sicuramente più di noi si intendono di calcio Bossi, suo figlio Trota e i cronisti di Radio Padania che hanno dato fuori di testa per la gioia seguita all’eliminazione dell’Italia dal Mondiale. A fronte di cervelli così sopraffini nell’inventarsi luoghi geografici e complotti, dobbiamo confessare tutta la nostra ignoranza e, per la prima volta, bearcene. È stato un duro colpo, ammettiamolo. Essere partiti con il titolo di campioni del mondo uscenti e tornarcene a casa dopo una manciata di minuti sofferti più che giocati, non ha fatto piacere a nessuno, neppure a quelli che amano il golf, praticano la pelota e il windsurf, scivolano veloci sugli sci. Il calcio, tutto sommato, oltre che essere lo sport più amato è senza dubbio quello più popolare e forse l’unico per il quale si abbattono le differenze di classe, quelle sociali, quelle intellettuali. Non ci sono ceti né caste e lo dimostra il fatto che basta un televisore e un gol della nazionale per fare abbracciare il cummenda brianzolo e il bracciante agricolo siciliano, che poi uno dica “cázzo” e l’altro “minchia” è una differenza talmente sottile che nessun ci fa caso. Berlusconi, ad esempio, quando ha deciso di dare una lustrata alla sua immagine, e penetrare laddove con il mattone non sarebbe mai riuscito, si è comprato il Milan mica il Circolo Tennis Naviglio. Al calcio si gioca dappertutto, meglio se in strada, perché alla fine i campioni nascono lì, non occorrono né un prato verde con diciotto buche né un campo di terra rossa con una rete in mezzo: basta una palla. Non esiste, in Italia, una persona che nella vita, anche per sbaglio, non abbia tirato un calcio a un pallone; crediamo invece ci siano persone che in mano non hanno mai tenuto una racchetta da tennis o un bastone da golf. Ed è proprio questo profondo, quasi ancestrale amore per il pallone che, in alcuni momenti, ci fa fare cose che nella vita di tutti i giorni non ci sogneremmo mai, e provare indignazioni o dolori che solitamente riserviamo a fatti ritenuti più seri e importanti. È vero che non abbiamo dato di testa come i cronisti di Radio Padania, che non siamo scesi in strada per prendere a pugni il primo slovacco che ci capitava a tiro, che non ci si è insinuato il tarlo del suicidio, però un dispiacere grande lo abbiamo provato, ci siamo sentiti come quelli svegliati dalla Digos alle quattro del mattino mentre stanno sognando un incontro ravvicinato con Scarlett Johansson. Forse è questa l’immagine migliore, ci siamo sentiti vittime di un coitus interruptus, di un sogno che Lippi e i suoi hanno deciso di interrompere proprio mentre poteva diventare realtà. Di solito, nel dolore si va alla ricerca di qualcuno che soffra più di te tanto per avvalorare quel proverbio demenziale che è il “mal comune mezzo gaudio”, ma a chi volete che importi che la Francia di Domenech sia uscita come l’Italia (anzi peggio) e che Sarkozy stia scatenando un putiferio? Preferiamo rivolgere, invece, la nostra attenzione a chi ha tratto piacere dall’eliminazione dell’Italia. Siamo contenti per Bossi, il Trota, Radio Padania e pure per Calderoli che, sotto sotto ha tifato Ghana ricordando gli alberi delle sue origini. L’avventura mondiale della nostra nazionale è finita ma non è finito sicuramente l’amore che gli italiani hanno per lei. Anzi, riflettendoci un attimo, quello che gli italiani provano per la nazionale di calcio è amore vero perché come tutti gli amori veri è completamente gratis. Non si ama per forza, non si tifa per forza a meno che non si venga colti dalla “sindrome di Emilio Fede”. Ma questa è un’altra partita.


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