Nell’immediata vigilia delle elezioni presidenziali statunitensi esponenti dell’IsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie) sono stati invitati a commentare l’evento sui media italiani.
Tiberio Graziani, presidente dell’IsAG e direttore di Geopolitica, è stato ospite nella puntata del 6 novembre di Sky TG 24 Pomeriggio, programma d’approfondimento dell’emittente satellitare diretto da Paola Saluzzi. Il presidente Graziani ha notato come il programma di Romney, che prevede il mantenimento dell’elevata spesa militare e l’enfasi su petrolio e nucleare, ricordi da vicino le politiche condotte dall’Unione Sovietica negli ultimi anni, prima del suo crollo: in una situazione di crisi, anche Washington – in caso d’elezione di Romney – potrebbe dunque optare per una strategia non dissimile da quella dell’URSS. Commentando invece l’imminente inizio del Congresso del Partito Comunista Cinese, che coinciderà con un rinnovo delle più alte cariche dello Stato, ha individuato per Pechino le seguenti priorità in politica internazionale: trovare un più stretto coordinamento con gli altri BRICS, di modo d’avere maggiore voce nella governance mondiale, e ristrutturare l’edificio economico globale.
Il giorno precedente, 5 novembre, Daniele Scalea – segretario scientifico dell’IsAG e condirettore di Geopolitica – è stato invece interpellato da Radio Italia, emissione dell’IRIB dedicata al nostro paese. Sollecitato dall’intervistatrice, Scalea ha ammesso che, malgrado negli USA esista tutt’oggi una democrazia formale, le elezioni si sono già da tempo svuotate di sostanza: le campagne elettorali sono state “spettacolarizzate”, affidate agli esperti di comunicazione anziché a quelli di politica, e si basano più sull’immagine del candidato che sul suo programma completo. Tuttavia, la fase critica che stanno attraversando gli USA ha fatto emergere una seria divergenza di vedute nell’élite, tanto che le ultime elezioni hanno visto realmente scontrarsi diverse proposte strategiche, sebbene esse non siano state al centro della campagna elettorale. Nella fattispecie, Scalea ha espresso la convinzione che i rapporti con l’Iran saranno seriamente influenzati dall’esito delle urne. Un’eventuale rielezione di Obama potrebbe spalancare le porte ad un compromesso.
E’ infatti noto che le trattative e i compromessi con un interlocutore malvisto nel proprio paese possono essere realizzati solo da governi forti, in grado di giustificare le inevitabili concessioni che si debbono fare all’avversario. Obama finora ha avuto su di sé la spada di Damocle della rielezione, ma se dovesse avere successo avrà un nuovo mandato, l’ultimo, in cui poter condurre veramente la sua politica, sfidando eventualmente i gruppi di pressione che l’hanno limitato nel primo quadriennio. Sul lato iraniano, l’ormai debole presidenza di Ahmadinejad – colpita tanto dalla contestata rielezione del 2009 quanto dallo scontro politico con la fazione conservatrice vicina all’Ayatollah Khamenei, è prossima alla fine: nel 2013 è probabile che sia eletto un uomo vicino alla Guida Suprema, costituendo dunque un gruppo dirigente più saldo e compatto al vertice della Repubblica Islamica. Si creerà dunque una congiuntura particolarmente favorevole al negoziato. La normalizzazione dei rapporti con l’Iran rientra appieno nella strategia di Obama, desideroso di disimpegnarsi dal Vicino e Medio Oriente per focalizzarsi sull’Asia-Pacifico. Inoltre l’Iran, se coinvolto in un progetto energetico come il Nabucco, potrebbe rivaleggiare sul piano commerciale con la Russia in Europa, e sottrarre le proprie riserve alla Cina. Al contrario, se Romney presidente, com’è probabile, dovesse alzare il livello dello scontro con Mosca e Pechino, Russia e Cina s’avvicinerebbero all’Iran rendendolo più forte nella sua posizione intransigente sul nucleare.