I primi passi del jazz in Sardegna vennero compiuti durante la seconda guerra mondiale, quando quattro appassionati di swing sardi (i fratelli Franco e Berto Pisano, Gianni Saiu e Carlo Bistrussu) formarono con un giovane violinista e polistrumentista torinese, Ferdinando (poi noto come Fred) Buscaglione, internato dagli alleati nell’isola, il Quintetto Aster, nucleo originario degli Asternovas. La band divenne pressoché residenziale sulle onde di Radio Sardegna, prima emittente libera in Italia fondata nel 1943 dagli alleati. Finita la guerra, il gruppo, con alcuni nuovi innesti, si ricostituì a Torino, appunto, come Asternovas, ottenendo, dopo alcuni anni di gavetta, un grande successo di pubblico come gruppo spalla dell’indimenticabile Fred. Negli anni ’50, nonostante la febbrile attività di divulgazione dei pochi estimatori autoctoni, il Jazz rimase un genere estremamente di nicchia e la sua diffusione avvenne quasi esclusivamente attraverso la riproduzione dei pochi dischi che arrivavano nell’isola. La situazione cambiò verso la fine del decennio, quando un conduttore radiofonico della Rai regionale, Alberto Rodriguez, appassionato cultore del genere, riuscì a trovare spazio nel palinsesto per delle trasmissioni tematiche. Lo stesso Rodriguez fu tra gli artefici di uno dei primi concerti di un jazzista di fama internazionale nell’isola: l’esibizione di Gato Barbieri alla Rotonda del Poetto nell’estate del 1965. Da allora, per altri dieci anni, le occasioni per il jazz rimasero relegate a qualche sporadico evento e all’attività di un numero moderatamente crescente di appassionati, musicisti o semplici ascoltatori.
La proliferazione delle radio private nell’isola, a cui seguirono a ruota le televisioni, offrì al genere afro-americano un esponenziale aumento delle occasioni di diffusione, con programmi ad esso dedicati che si facevano spazio nei palinsesti. Intanto, a Cagliari veniva aperto il primo locale notturno specializzato in musica jazz, il Gong. Ormai si era creata la situazione ideale per l’avvento della grande stagione dei festival che, da oltre trent’anni, caratterizza la vita culturale sarda, con molti alti e qualche basso dovuto all’immancabile problema dei fondi. La data di apertura di questo fecondo periodo del jazz isolano fu il concerto, organizzato dall’Arci di Cagliari, di una band tra le più radicali nella sperimentazione Free-jazz, gli Art ensemble of Chicago. Da questo evento germogliò la madre di tutti i festival jazz sardi, Jazz in Sardegna, che vide il debutto nel 1983 e raggiunse, tra la fine del decennio e l’inizio dei ’90, un livello di primissimo piano, nel panorama dei festival europei del genere. Due anni dopo, l’associazione Punta Giara organizzò il primo festival Ai confini tra Jazz e Sardegna, nel paese di Sant’Anna Arresi, caratterizzandolo con lo scenario unico di uno dei pochi nuraghi inglobati in un centro abitato. Il festival, ormai stabilmente inserito nell’elite della scena Jazz europea, nonché presenza costante nella programmazione di Radio3, si è distinto per la predilezione verso le proposte più sperimentali della scena mondiale. A ruota, seguì Cala Gonone Jazz, più ortodosso, intimo e cameristico, e Time in Jazz, organizzato a Berchidda da Paolo Fresu e divenuto, grazie al prestigio del fondatore, l’evento jazz sardo con maggiore seguito internazionale, proponendo in piccolo una formula simile a Umbria Jazz, ma più purista e con una maggiore interazione col pubblico e l’ambiente. Lo stesso Fresu fu tra gli artefici di un’altra istituzione del jazz sardo, i Seminari di Nuoro, inaugurati nel 1989. Anche in tempi più recenti sono nati nuovi festival come Musiche sulle Bocche, itinerante nella zona costiera settentrionale e legato fortemente all’ambiente naturale, e il Taphros Jazz Festival di La Maddalena.
Contemporaneamente a questa ricca attività di manifestazioni, negli ultimi trent’anni si è assistito all’affermazione nazionale e internazionale di una buona quantità di musicisti autoctoni. Il veterano e pioniere è da considerarsi Antonello Salis, funambolico fisarmonicista, pianista e percussionista campidanese, classe 1950, che già dalla fine degli anni ’70, dopo gli esordi progressive, si era proposto come solista e successivamente con importanti collaborazioni internazionali. La cifra di questo geniaccio sta soprattutto nella straordinaria versatilità e capacità improvvisativa: a questo proposito, consiglio vivamente il duo con Stefano Bollani all’Umbria Jazz Winter di Orvieto di alcuni anni fa, discretamente documentato su Youtube. Il sassofonista algherese Enzo Favata, classe 1956, pur essendo originario della “meno sarda” tra le città isolane, è da considerarsi come il più convinto paladino della simbiosi tra il Jazz e la tradizione popolare sarda, con lavori come Voyage en Sardaigne e Made in Sardinia, commoventi dichiarazioni d’amore identitario. Anche il più prestigioso jazzista isolano, il trombettista Paolo Fresu, nato a Berchidda nel 1961, si è reso protagonista di un convincente lavoro simbiotico (Sonos ‘e memoria), anche se la sua cifra più vistosa è rappresentata dall’insuperabile pulizia formale e dall’infaticabile attività progettuale e di collaborazioni internazionali. Nal 1989, con la fondazione dell’Orchestra Jazz della Sardegna, in breve tempo diventato uno dei più rinomati grandi ensemble italiani, il movimento ebbe un nuovo e più incisivo impulso alla crescita.
Negli ultimi due decenni, altri musicisti jazz isolani hanno felicemente varcato i confini dell’isola. Degni di nota i fratelli chitarristi Ferra (Bebo, autore di un’ortodossa e raffinata fusion, e Massimo, sperimentatore sospeso tra atmosfere ambient e reminescenze psichedeliche); le chitarre modificate di Paolo Angeli, tra tradizione e spregiudicata contaminazione (cosa non darei per vederlo in coppia col violoncellista siciliano Giovanni Sollima!); last but not least, il polifiatista (launeddas comprese) e vocalist Gavino Murgia, elettro-nuragico fautore di una sperimentazione a 360°, dagli arcaismi del canto a Tenores alle sonorità metropolitane post-moderne. Scusandomi per aver sicuramente tralasciato qualcuno, chiudo con un cenno sulla feconda scena Etno-jazz (dove l’etno è rappresentato soprattutto dal ricco patrimonio tradizionale indigeno), che ha portato alla ribalta internazionale due signore del canto, la campidanese Elena Ledda e l’algherese Franca Masu.