Nato a Edimburgo, Scozia, il 13 novembre 1850, dopo una giovinezza ribelle e in polemica con il padre e con il puritanesimo borghese del suo ambiente, Robert Louis Stevenson studia Legge, diviene avvocato ma non eserciterà mai la professione.
Nel 1874 i sintomi della malattia polmonare che lo aveva colpito durante l’infanzia si fanno più gravi; inizia una serie di soggiorni curativi in Francia. Qui, Stevenson, conosce Fanny Osbourne, americana, di dieci anni più grande di lui, divorziata e madre di due figli.
Incomincia in questi anni il suo impegno a tempo pieno come scrittore. Oltre a vari racconti inizia a scrivere anche saggi e poesie per diversi periodici. Pubblica libri di vario genere, articoli filosofici e letterari e raccolte di racconti.
La notorietà giunge in modo inaspettato con “L’isola del tesoro” (1883), nel 1886 viene pubblicato “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”; nello stesso anno Stevenson pubblica “Il ragazzo rapito” , a cui darà un seguito nel 1893 con “Catriona” (1893). Nel 1888 pubblica “La freccia nera” e nel 1889 “Il signore di Ballantrae”.
Stevenson raggiunge un discreto benessere economico, tuttavia la salute cagionevole e l’attrazione per l’avventura lo spingono a lasciare definitivamente l’Europa alla ricerca di un clima più mite. Nel 1888 dopo una breve sosta a New York, riparte per l’Ovest e poi, insieme alla famiglia, alla volta del Pacifico meridionale. Si stabilisce nelle isole Samoa a partire dal 1891. Qui trascorrerà una vita tranquilla, lavorando fino al giorno della sua morte, avvenuta il 3 dicembre 1894.
Sito: http://www.robert-luois-stevenson.org
Titolo: L’isola del tesoro
Autore: Robert Louis Stevenson
Edito da: BUR Rizzoli
Collana: Superbur classici
Prezzo: 7,90 €
Genere: Narrativa
Pagine: 256 p.
Voto:
Trama: Sono le parole dello stesso autore a dirci che la storia “tratta di Bucanieri, che inizia alla locanda dell’Ammiraglio Benbow sulla costa del Devon, che parla di una mappa, e di un tesoro, e di un ammutinamento, e di una corrente, e di un buon vecchio conte Trelawney [...] e di un dottore, e un altro dottore, e di un cuoco di bordo con una gamba sola, e di una canzone marinaresca il cui ritornello è “Yo-ho-ho e una bottiglia di rum” (al terzo “Yo” si afferrano le sbarre dell’argano e si leva l’ancora), che è una vera canzone da bucanieri, nota soltanto alla ciurma del fu capitano Flint.”
Recensione
di Molly68
“Il signor Trelawney, il dottor Livesey e gli altri gentiluomini mi hanno chiesto di mettere per iscritto tutti i dettagli riguardanti l’Isola del Tesoro, dal primo all’ultimo, senza omettere nulla salvo la posizione dell’isola, e questo solo perché una parte del tesoro non è stata ancora portata alla luce. Perciò nell’anno di grazia 17… prendo in mano la penna e torno al tempo in cui mio padre gestiva la locanda dell’”Ammiraglio Benbow” e al giorno in cui il vecchio uomo di mare, abbronzato e sfregiato da una sciabolata, prese per la prima volta alloggio sotto il nostro tetto.”
Questo è uno di quei libri speciali, capaci di trasportare chi legge in un mondo parallelo fatto di vento e salsedine, di pirati e tesori, naufraghi e assassini; un’avventura che va oltre l’etichetta del “romanzo per ragazzi”, oltre i due secoli che ci separano dalla sua stesura, oltre i confini delle descrizioni dettagliate che servono all’Autore per calarci nell’atmosfera che si respira sulla tolda dell’Hispaniola. In questo romanzo c’è tutto quello che un lettore, adulto o ragazzo non importa, può desiderare: avventura allo stato puro, colpi di scena, azione, brividi ed emozioni, luoghi pericolosi e affascinanti, personaggi feroci e inconsapevoli eroi.
La storia appassionante legata alla mappa del tesoro del pirata Flint inizia alla locanda dell’Ammiraglio Benbow, arricchendosi poco a poco di personaggi indimenticabili, uno su tutti lo spudorato, amorale, voltafaccia pirata da una gamba sola. Simpatico, disponibile, cuoco sopraffino, Long John Silver, sempre in bilico sul confine tra bene e male, incarna quella dualità che tanto affascinava Stevenson e che possiamo ritrovare in tutte le sue storie: è ambiguo e moralmente complesso, capace di ingannare il giudizio di Jim (narratore in retrospettiva della storia) e del lettore stesso. Per gran parte del romanzo siamo spinti a ritenerlo affettuoso e sincero proprio nel momento in cui lui è, in realtà, più pericoloso, capace di uccidere a sangue freddo e di perseguire in modo spietato i suoi obiettivi. La sua irresponsabilità morale (che creò non pochi problemi ai recensori dell’epoca) si staglia sullo sfondo di tutta la storia e dopo aver voltato l’ultima pagina non si può fare a meno di ammettere che è lui il vero eroe di mr. Stevenson, capace quasi di prendere vita propria e comunque di sopravvivere al libro (ne è testimonianza, tra l’altro, la fantastica ricostruzione autobiografica scritta da B.Larsson, “La vera storia del pirata Long John Silver”) La narrazione è affidata a Jim Hawkins, giovane sveglio e intraprendente, con un espediente narrativo che consente a Stevenson di coinvolgere direttamente i lettori cui la storia era rivolta, cioè i ragazzi, nelle esperienze cruciali di paura e pericolo che sono il succo dell’avventura narrata. Quante cose imparerà da questo viaggio il giovane Jim, trovandosi suo malgrado nel bel mezzo dello scontro tra gentiluomini e pirati che vogliono recuperare a qualsiasi costo il tesoro del famigerato capitano Flint: la sua avventura si trasforma in un’occasione di crescita, da cui apprendere che, lontano dalla locanda in cui è cresciuto, la vita è assai più complessa di quel che sembra.Dotato di straordinarie capacità affabulatorie, Stevenson travolge il lettore con un’abile alternanza di emozioni, dosate con sapienza, sfiorando spesso i confini dell’orrore, ma riportando sempre la narrazione su un livello adatto ai lettori più giovani. La sua scrittura vivace gli consente di descrivere magistralmente personaggi e avvenimenti in uno stile semplice, a volte minuzioso altre più onirico e “impressionista”, capace di evocare la bruma delle coste del Devon o la natura selvaggia dell’isola, soffiandoci sul viso il vento della baia o avvolgendoci nell’aria fumosa dell’Ammiraglio Benbow.Noterete un certo entusiasmo nelle mie parole.
Sappiate dunque che c’è un buon motivo: anch’io ho issato le vele dell’Hispaniola, ho seguito la rotta tracciata sulla mappa misteriosa, ho palpitato per il terrore di essere scoperta a origliare nel barile delle mele, ho combattuto tra la paura e l’ammirazione per il pirata John Silver, ho cantato dei quindici uomini sulla cassa del morto e ho brindato ad essi con una bottiglia di rum. Le sensazioni che questo romanzo ha impresso in modo indelebile nel mio immaginario hanno dato vita all’archetipo del pirata con il quale ancora oggi raffronto le mie letture. Dall‘Isola del tesoro in poi, passando attraverso i mondi esotici di Salgari fino ai Velieri viventi di Robin Hobb, non ho mai smesso di sognare con le avventure piratesche.
Anche il cinema ha mostrato di amare molto questa storia e la sua ambientazione, con numerose trasposizioni, rielaborazioni e ispirazioni (Il pianeta del Tesoro, Capitan Harlock, I pirati dei Caraibi).
Voglio dedicare il booktrailer proprio allo squinternato Jack Sparrow (ops, scusate: capitano Jack Sparrow!), adorabile erede delle più grandi storie di pirati.