Superato il primo scoglio della prefazione, c’è una dedica a Remo N. che non so chi sia, ma ve la riporto perchè l'ho trovata molto bella:
"Quella che tu credevi un piccolo punto della terra,
fu tutto.
E non sarà mai rubato quest'unico tesoro
Ai tuoi gelosi occhi dormienti.
Il tuo primo amore non sarà mai violato. Virginea s'era rinchiusa nella notte
Come una zingarella nel suo scialle nero.
Stella sospesa nel cielo boreale
Eterna: non la tocca nessuna insidia.
Giovinetti amici, più belli d'Alessandro e d'Eurialo,
per sempre belli, difendono il sonno del mio ragazzo.
L'insegna paurosa non varcherà mai la soglia
Di quella isoletta celeste.
E tu non saprai la legge
Ch'io, come tanti, imparo,
e a me ha spezzato il cuore:
fuori del limbo non v'è eliso."
Il libro è suddiviso in otto capitoli e a sua volta in paragrafi brevi e abbastanza veloci da leggere, per un totale di trecentosettantasette pagine caratterizzate da tanta fantasia, da vere e proprie pagine di sublime poesia e da emozionanti descrizioni.
La trama:
Il padre Wilhelm è un uomo disinteressato al figlio e sempre in viaggio con gli amici tornando sull'isola attratto forse come una calamita dall'isola stessa e non dal figlio che
al contrario gli vuole un mondo di bene e lo stima più di se stesso.
Arturo quindi cresce senza gli affetti dei genitori e con tutte quelle libertà che un ragazzino può permettersi non andando a scuola e vivendo in solitudine.
Buona parte del carattere di Arturo si forma sulle orme del padre, un uomo severo e che ignora tutto e tutti perchè ritiene che l'unico suo grande amico che gli ha lasciato in eredità la
"casa dei Guaglioni" è morto.
Dal libro riporto queste parole per rendere un'idea dell'attaccamento di Arturo verso il padre:
"Avrei voluto che mio padre mi desse un bacio, sia pure senza svegliarsi del tutto, nella confusione del sonno, e per isbaglio; o, almeno, avrei voluto io dargli un bacio; ma non osavo. Accovacciato, come un gatto, ai suoi piedi, lo guardavo dormire. Perfino il suono sommesso del suo respiro, o del suo russare, mi pareva prezioso ad ascoltarsi, giacché era ancora una testimonianza della sua fugace presenza sull'isola; di questo suo soggiorno da me perduto e che ormai finiva, ne ero certo."
La vita di Arturo cambia quando il padre porta sull'isola la giovane sposa Nunziatella di appena sedici anni
che abbandona a Procida in compagnia di Arturo e che nelle rare visite del padre rimane incinta.
Arturo verso la nuova matrigna inizialmente prova un sentimento di forte gelosia perchè ritiene Nunziatella responsabile del distacco del padre verso il figlio, ma in seguito s’innamora
perdutamente della matrigna a tal punto da farlo andare via da quell'isola che altrimenti non avrebbe mai avuto il coraggio di abbandonare.
L'autrice:
In seguito Elsa Morante pubblicò pochissimi libri, tutti accompagnati da un lungo e complesso lavorio linguistico e tutti capaci di concentrare realtà e magia in simboli ad alta densità.
Giustamente famoso è anzitutto "L'isola di Arturo", pubblicato da Einaudi nel 1957 (nell'agosto dello stesso anno vinse il Premio Strega) cui seguono i racconti di "Lo scialle andaluso" (1963)
che riprendono testi scritti fra gli anni Trenta e Cinquanta.
Di grande rilievo è anche "La Storia" (1974), che suscitò un violento dibattito per il suo radicale pessimismo, mentre con l'ultimo romanzo, "Aracoeli" (1982), la scrittrice
approdò a una visione del mondo sconsolata. Si ricordano inoltre le poesie di "Il mondo salvato dai ragazzini" (1968) e i saggi di "Pro o contro la bomba atomica" (1987).
Considerazioni personali:
Ho tralasciato di raccontare molti particolari della trama perchè svelarla adesso, sarebbe deleterio per chi vuole intraprendere la lettura di questo bel romanzo.
Come dicevo il romanzo è ambientato nell'isola di Procida al tempo della seconda guerra mondiale e durante la lettura s’incontrano espressioni o frasi in dialetto napoletano che
rendono il romanzo divertente da leggere e le parole non sono di difficile comprensione.
Dell'isola se ne fa una descrizione ampia, anche se i luoghi principali in cui si svolge il romanzo sono pochi, dalla casa dei Guaglioni alla spiaggia, senza mai allontanarsi da questi
posti.
Come dicevo ci sono sprazzi di poesia che possiamo notare in alcune discussioni tra padre e figlio e che evidenziano il lato solitario e snob del padre:
"Quando venni qua a Procida la prima volta, mi accorsi subito (e del resto lo sapevo anche prima di
sbarcare), che questa, per me, era un'isola deserta! Ho accettato di chiamarmi Gerace, perchè un nome ne vale un'altro. Lo dice pure una poesia, di quelle che le ragazze scrivono sull'album dei
pensieri:
"Che importa il nome? Chiama pur la rosa con altro nome: avrà men dolce odore?"
Durante la narrazione della giovinezza di Arturo si evincono diverse fasi, dalla solitudine alla felicità, all'amore odio verso la matrigna, dalla gelosia all’innamoramento, con una serie di atteggiamenti e ripensamenti tipici di un'infanzia vissuta senza l'affetto dei genitori o degli amici.
"Uscivo, e mi pareva che tutti in terra non facessero altro che baciarsi: le barche, legate vicine lungo l'orlo della spiaggia, si baciavano! Il movimento del mare era un bacio, che correva verso l'isola; le pecore brucando baciavano il terreno; l'aria in mezzo alle foglie e all'erba era un lamento di baci. Perfino le nubi, in cielo, si bciavano!"
Molto bello ed espressivo il paragrafo che parla del più grande amico di Arturo, il proprio cane Immacolatella, fedele compagno di giochi e amico complice e divertente.
"Si dirà: parlare tanto di una cagna! Ma io, quand'ero un ragazzino, non avevo altri compagni che lei, e non si può
negare che era straordinaria. Per conversare con me, aveva inventato una specie di linguaggio dei muti: con la coda, con gli occhi, con le sue pose, e molte note diverse della sua voce, sapeva
dirmi ogni suo pensiero; e io la capivo.
Pur essendo una femmina, amava l'audacia e l'avventura: nuotava con me, e in barca mi faceva da timoniere, abbaiando quando c'erano ostacoli in vista. Mi seguiva sempre, quand'io giravo per
l'isola, e ogni giorno, ritornando con me sui viottoli e nelle campagne già percorsi mille volte, s'infervorava, come se fossimo due pionieri in terre inesplorate. Quando, attraversato il piccolo
stretto, sbarcavamo nell'isoletta deserta di Vivara, che è a pochi metri da Procida, i conigli selvatici fuggivano al nostro arrivo, credendo ch'io fossi un cacciatore col suo cane da caccia. E
lei li inseguiva un poco, per il gusto di correre, e poi tornava indietro da me, contenta di essere una pastora.
Aveva molti innamorati, ma fino all'età di otto anni non fu mai incinta."
In definitiva, continuando nella lettura del libro ho provato una forma di affetto verso il protagonista che mi ha tenuto incollato alle pagine di questo libro rievocando in me pensieri di un'infanzia ormai lontana e, essendo la prima volta che leggo un libro della Morante, non posso non negare che ritornerò volentieri a leggere e raccontarvi qualche altro suo romanzo.