Ritorno sempre volentieri alle espressioni di Lao Tsu; l’opera Tao Te Ching si apre con questi versi che mi permettono di parlare dell’apparente conflitto tra ragione e anima.
Il Tao di cui si può parlare
non è l’eterno Tao.
Il nome che si può pronunciare
non è lo stesso nome.
Il Tao ha un nome e al tempo stesso ne è privo.
Senza nome è l’origine di ogni cosa;
con un nome è la Madre delle diecimila creature.
Chi non desidera riesce a cogliere il mistero,
chi desidera ne vede solo la manifestazione.
E il mistero stesso è la porta
che conduce a ogni conoscenza.
Noi occidentali tendiamo a considerare i concetti opposti come incompatibili e in reciproca contraddizione, mentre il paradosso è un modo insito di pensare nei concetti orientali.
Dovremmo esercitarci di più al pensiero paradossale riconoscendo che desiderare (volere) e non desiderare (lasciare che sia) sono diversi e uguali. Il desiderio è l’espressione fisica che crea la condizione di ricettività, in altre parole, è il modo tipico di prepararsi a ricevere.
Ora pensate alle cose che nella vita implicano il volere e a quanto esse siano diverse da quelle che comportano il lasciare (voler dormire, per esempio, piuttosto che dormire realmente).
Secondo il Tao non desiderare significa fidarsi, permettere e lasciare che sia.
Il desiderio è sia il punto di partenza sia il terreno su cui cresce la sua assenza, ma anche il volere è l’inizio e il terreno su cui lasciare che le cose accadano. Sono uguali e sono diversi.
Ma a questo punto come il desiderio si trasforma in fine ?
Solo l’intenzione, cioè la risolutezza ad avere e ad agire, è in grado di cambiare le cose, è l’intenzione che trasforma il desiderio in fine.
Supponiamo che siete riusciti a individuare il vostro fine e siate pieni di risolutezza a raggiungerlo. Ardete dall’impazienza di incominciare ad agire il più presto possibile. Bene, ora allentate la presa, lasciate, ridimensionate l’importanza del fine, rinunciate al desiderio di raggiungerlo e lasciate solo la risolutezza ad avere. Resta solo da muoversi nei limiti dell’intenzione pura, cioè fare tutto quello che serve ma senza desiderio e senza insistere.
L’intenzione, a differenza dell’autosuggestione, sta a significare che la decisione è già stata presa e non c’è più niente da discutere. Il raggiungimento del fine è evidente. Ogni tipo di dubbio cadrà da solo se espandete la sfera del vostro benessere.
Ora passando alla fase della realizzazione l’anima tende al fine mentre la ragione si preoccupa dei mezzi. L’anima non ha idea dei modi per il raggiungimento del fine. Per questo è necessario cessare di riflettere sugli scenari di sviluppo degli eventi. Nel cammino verso il fine deve prevalere la risolutezza ad avere. La parte restante dell’intenzione, cioè la risolutezza ad agire, dev’essere massimamente depurata dal desiderio e dall’importanza. Se cercherete di investire il massimo delle forze per un veloce raggiungimento del fine, dubitate delle vostre capacità e temete le difficoltà, significa che il livello d’importanza è troppo alto.
Nel cammino verso il vostro fine il benessere dell’anima acquisito vi permetterà di trasmettere un’emissione armonica. Verrete spesso presi dall’ispirazione, se non cercate di evocarla intenzionalmente. L’ispirazione è uno stato di slancio dell’anima in presenza del quale il processo creativo si fa semplicemente con facilità.
L’ispirazione è lo stato di unità dell’anima e della ragione in assenza di potenziali d’importanza. L’ispirazione non compare ma semplicemente viene liberata quando cala il potenziale d’importanza. Al contrario, l’ispirazione si contrae quando la ragione impaziente caccia l’anima nel guscio d’attesa.