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Le tipologie in aumento
Dallo studio emerge una crescita generalizzata dei relativamente poveri, nel giro di soli 12 mesi, per alcune tipologie. Ad esempio per tutte le famiglie con 5 o più componenti (dal 24,9% al 29,9), di monogenitori (dall’11,8 al 14,1), anziani pensionati (dal 13,7 al 17,1), dove la persona di riferimento è un lavoratore autonomo (dal 6,2 al 7,8) oppure un soggetto diplomato o laureato (dal 4,8 al 5,6) e con membri aggregati (dal 18,2 al 23). In quest’ultimo caso il peggioramento c’è anche rispetto alla povertà assoluta (dal 6,6 al 10,4), come del resto per le famiglie con membri aggregati (dal 6,6 al 10,4), senza occupati in cui almeno un componente non ha mai lavorato e non cerca un impiego (dal 3,7 al 6,2), con la persona di riferimento diplomata o laureata (dall’1,7 al 2,1). Povere anche molte famiglie numerose (intorno al 10%), monogenitori (6,9%) o con il lavoratore principale in possesso al massimo di licenza elementare (8,3%).
I soggetti a rischio
Il 3,8 per cento delle famiglie residenti in Italia rischiano di diventare povere. Si tratta di ben 944.472 nuclei familiari, la cui attuale spesa mensile è di poco superiore alla soglia ritenuta «minimamente accettabile». Una percentuale che nel Mezzogiorno schizza al 6,7%. Viceversa, quelle che invece «sicuramente» non devono fare i conti con la povertà sono l’81,4% del totale. Anche in questo caso con percentuali diverse a seconda dell’area del Paese: si passa dal 90,2% del Nord all’87,9% del Centro, per arrivare al 64,1% del Mezzogiorno.
Le regioni più povere
Inutile dire che la situazione è critica soprattutto nel Mezzogiorno, dove la povertà è al 21,5% e la spesa media mensile equivalente scende a 779 euro. Al Sud crescono soprattutto i relativamente poveri con tre o più figli minori, passati dal 36,7 per cento del 2009 al 47,3 dell’anno scorso. Ma in generale si trovano in grandi difficoltà, tutti i nuclei numerosi che vivono al Sud e i lavoratori autonomi, in netto aumento (dal 18,8 al 23,6%). Le situazioni più gravi di povertà sono per le famiglie residenti in Basilicata (28,3%), Sicilia (27%) e Calabria (26%). Mentre le regioni dove si osservano gli indici più bassi sono la Lombardia (4%) e l’Emilia Romagna (4,5%). Sotto il 6 per cento anche Umbria, Piemonte, Veneto, Toscana, Friuli Venezia Giulia e la provincia di Trento. Nel Centro Italia migliora invece la condizione di povertà dei nuclei con due o più anziani (dal 10,5% del 2009 al 7,1 dello scorso anno).
I lavoratori più poveri
Lo studio conferma che c’è un forte legame tra la povertà e un basso livello di istruzione ma risulta determinante anche la qualità dell’occupazione. Non per niente le famiglie povere con a capo un operaio o assimilato sono il 15,1 per cento, oltre il doppio di quella registrata tra i nuclei nei quali lo stipendio principale arriva da un lavoratore autonomo (7,8%). Inutile dire che l’incidenza di povertà più bassa è per le famiglie dove la persona di riferimento è un imprenditore o libero professionista (3,7%) che nel caso sia un lavoratore in proprio sale al 10,7 per cento.
Tutti contro il governo
Per il segretario della Commissione Affari Europei, il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, «questo esecutivo ha fatto crescere la povertà, nulla ha fatto per rafforzare il welfare e aiutare concretamente le famiglie». Dura anche la Cgil che lancia l’allarme per il futuro: «Il governo sta per approvare una manovra che colpisce ancora più duramente le fasce più deboli della popolazione e indebolisce sempre più la capacità di resistenza alla lunga crisi che le famiglie hanno messo in atto in questi anni», denuncia il segretario confederale del sindacato, Vera Lamonica. Per la Coldiretti basterebbe «ridurre di appena il 20 per cento gli sprechi di cibo degli italiani per far imbandire adeguatamente la tavola agli 8 milioni di poveri che fanno fatica a mettere insieme il pranzo la cena». L’associazione dei consumatori Codacons parla di numeri «incompatibili per un Paese che vuole definirsi civile» e lancia un monito al governo: «Ridurre la progressività delle imposte e delle aliquote, tagliando in modo lineare le detrazioni fiscali e aumentando i ticket sanitari, significa avere sempre meno risorse da destinare a questi 8 milioni di individui».
Fonte: Terranews
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