C'è uno stratagemma narrativo cui il cinema, soprattutto di genere, ma spesso anche la televisione, sembrano ricorrere con sempre maggior frequenza. Si tratta della rappresentazione finzionale dei notiziari. Nei film, insomma, ci viene mostrata sovente la messa in onda di telegiornali, ricostruiti e rappresentati con eccezionale verosimiglianza, ottimo espediente per far digerire allo spettatore tante informazioni sulla storia in pochissimo tempo e con un certa agilità. Ma questa trovata ha anche un altro effetto importante e per lo più inconsapevole, sullo spettatore: quello di connotare la storia di maggiore realismo e credibilità.
In altre parole, nella fiction televisiva e cinematografica, l'inserimento di uno spezzone di notiziario immerge lo spettatore più profondamente nella storia, perché la sola presenza del telegiornale rende la vicenda complessivamente più reale in quanto più credibile. La realtà fittizia che prevede l'esistenza di un notiziario il quale parla in qualche modo (proprio) della vicenda di cui ci parla il film, diventa immediatamente più concreta e, per questo, coinvolgente. E questo accade perché lo spettatore tende - per istinto - a dare maggior credito a un notiziario (ancorché inventato, come quelli nei film), che al semplice racconto nudo e crudo della storia.
Se però osserviamo il fenomeno dalla prospettiva opposta, apprendiamo molto anche sul modo con cui ci poniamo - per istinto - di fronte alla ricezione delle notizie giornalistiche e al nostro rapporto con la realtà di cui ci parlano i telegiornali autentici. Nella misura in cui la realtà non è totalmente conoscibile (e nessuna realtà lo è), il racconto della realtà che un notiziario fa, finisce infatti per essere sempre più incisivo e credibile della realtà stessa. E questo, purtroppo, vale anche per il TG4.