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L’Italia anello debole della catena

Creato il 08 novembre 2011 da Conflittiestrategie

 

Il Financial Stability Board ha diffuso la lista delle 29 banche che hanno un’importanza sistemica globale, della lista fanno parte 17 istituti europei e una banca italiana, Unicredit. L’inserimento in questa lista obbligherà l’istituto di Piazza Cordusio ad effettuare, nel più breve tempo possibile,  una ricapitalizzazione compresa tra 5 e 7 miliardi; la ricapitalizzazione era stata già richiesta da un altro organo di controllo, la European banking authority, che costringe, per l’appunto, le nostre banche maggiori a organizzarsi per una ricapitalizzazione superiore rispetto agli istituti di credito francesi e tedeschi. Tutto questo è necessario, dicono, per rendere effettivo l’approntamento di un “cordone sanitario” a tutela delle banche “too big to fail”, troppo grandi per fallire, evitando che ancora una volta i loro problemi ricadano sui debiti sovrani e quindi sui cittadini dei relativi Stati. Fabio Pavesi sul Sole 24 ore ricorda che secondo l’Ufficio studi di Mediobanca

<< i costi di salvataggi e nazionalizzazioni varie delle banche sono costati all’Europa oltre 1.200 miliardi mentre gli Usa hanno iniettato nel sistema risorse pubbliche per 2.000 miliardi. E’come se in Europa si fosse spalmato, in un colpo solo, sui cittadini il 60 per cento dell’intero debito pubblico della Repubblica italiana.>>

Comunque Unicredit e la stessa Intesa San Paolo – al contrario soprattutto delle grandi banche americane ed inglesi dell’elenco – non hanno mai pesato (direttamente) sulle casse pubbliche; la Royal Bank of Scotland, ad esempio, è stata salvata con garanzie pubbliche per oltre 400 miliardi e ha cumulato perdite, anche nel 2009-2010, per oltre 3 miliardi di sterline. Il livello di patrimonializzazione della banca scozzese risulta, quindi, grazie agli aiuti ricevuti, del 12% rispetto al 9,4% di Unicredit e le grandi banche d’affari non solo britanniche ma anche francesi e tedesche, per i regolatori internazionali, ovverosia per gli Usa e i suoi accoliti, presentano un attivo a rischio, rispetto all’intero bilancio, del 30% contro il 50 % di quelle italiane.  Secondo le regole di Basilea infatti viene ritenuta maggiormente a rischio l’attività creditizia rispetto al trading finanziario, così che, come osserva ancora Pavesi

<<Unicredit che ha già oggi più patrimonio di Deutsche Bank si ritrova con un Tier 1 (1) più basso di tre punti. Un’asimmetria smaccata. Il punto critico della banca italiana non è il capitale né la solidità, assai più forte[…]di molte blasonate banche che operano in derivati: Abs e Cdo, ma le sofferenze e l’alto peso dei BTp in portafoglio.>>

Però, per quello che possiamo capire in tutto questo “casino”, le “sofferenze lorde” delle banche italiane potranno influire sugli utili degli azionisti ma non influiranno quasi per niente sulla stabilità della finanza mondiale. La verità è che vengono “premiati” gli istituti finanziari degli stati che “comandano” in Occidente, quelli che hanno fatto lievitare i debiti sovrani e moltiplicato i problemi dell’economia globale reale, mentre i paesi politicamente subordinati e sempre meno indipendenti come il nostro vengono “strangolati” e la maggior parte dei loro abitanti, come si conviene ai sudditi, dovranno rendersi conto di appartenere ad una fascia meno privilegiata tra gli abitanti dell’”ecumene” ed abituarsi a tirare, ben bene, la cinghia. Ma vengono avanzate anche valutazioni diverse rispetto a questo panorama – che vede, secondo noi giustamente, nelle lotte politiche in corso l’emblematica manifestazione di una fase di sviluppo del multipolarismo, dove gli scontri frontali non occupano più, per il momento, il palcoscenico del “teatro globale” – dove il caos emerge dal disordine,  alimentato dalla nuova strategia Usa, e si manifesta nei conflitti reciproci tra i paesi “satelliti”, all’interno della cintura protettiva nel blocco ad egemonia statunitense. Si insiste molto sul fatto che, anche se le nostre banche hanno in portafoglio pochi derivati sono, però, piene di titoli di Stato italiani e molto elevata risulta anche la percentuale di crediti dubbi, in proporzione del patrimonio di sorveglianza, sia per Unicredit che per Banca Intesa. La questione del debito pubblico ha certamente una sua consistenza reale perché se è vero che dal 1994 al 2007 in qualche maniera, attraverso i sacrifici dei soliti noti, il rapporto debito /Pil era sceso da 121,5% a quota 104,1% abbiamo poi in conseguenza della crisi (minori entrate, ammortizzatori sociali ecc.) invertito drammaticamente la tendenza risalendo a un livello, previsto per fine anno del 120,6%. Si punta, ovviamente, ma sono solo previsioni, a portare l’avanzo primario dallo 0,9% di quest’anno al 3,7% nel 2012 e al 5,4 nel 2013 ma per i prossimi anni è altrettanto facilmente preventivabile un aumento consistente delle spese per interessi dei titoli pubblici. A questo punto l’incremento del differenziale tra Btp e Bund pende come una spada di Damocle sulle nostre teste. Siamo d’altra parte anche l’unico paese di un certo peso economico in cui continua ad esistere un “sommerso” valutabile dal 16 al 20 per cento del Pil, con gravi danni per le casse dello Stato , certo, ma soprattutto con conseguenze e distorsioni sociali e politiche enormi. Secondo Dino Pesole, sempre dal Sole 24 ore, qualche elemento positivo nell’economia del nostro paese è, comunque, possibile rintracciarlo:

<<il deficit, in primo luogo. Non siamo messi male, anzi decisamente meglio rispetto ad altri e più blasonati partner europei, quest’anno[…]chiuderemo al 3,9% del Pil.>>

Il giornalista aggiunge ancora che se le manovre già approvate otterranno il loro effetto e quindi l’avanzo primario salirà convenientemente il disavanzo potrebbe attestarsi all’1,6% nel 2012 per arrivare poi al pareggio di bilancio nel 2013. Altri fattori positivi sono, per Pesole, il

<<consistente attivo patrimoniale e il risparmio privato. Se si analizza il “debito aggregato”(pubblico-privato  escluse le imprese finanziarie), in testa alla classifica compaiono Irlanda, Portogallo, Belgio, Danimarca e Regno Unito. L’Italia, con il 240,8% del Pil, si colloca al di sotto della media.>>

Mi permetto una piccola aggiunta a quanto detto dall’esperto del Sole 24 ore: non sarà che la tenuta del risparmio privato italiano, in questa fase di aumento della disoccupazione e di blocco dei salari, possa essere stata determinata proprio da quella anomalia “distorsiva”che è rappresentata dall’enorme diffusione del “sommerso” nel nostro paese ? Ad ogni modo, anche se ho provato a riassumere alcune problematiche economico-finanziarie d’attualità, noi del blog siamo convinti che bisogna aver paura di quelli che, comunque, anche nel disordine globale, tengono sotto controllo la situazione politica, magari -  come stanno facendo Germania, Francia, Regno Unito e Stati Uniti – evitando di prendere decisioni, di scegliere opzioni definite, per tentare di sfruttare – anche nell’altalena dei mercati finanziari internazionali – l’attuale andamento catastrofico e caotico a loro favore.

(1)La “classe” principale del patrimonio delle banche (Tier 1) è  composta dal capitale azionario e riserve di bilancio provenienti da utili non distribuiti al netto delle imposte, in essa può essere inclusa un massimo del 15% di “strumenti derivati”. Rapportando il Tier 1 alle attività ponderate per il rischio, secondo i criteri di Basilea II, si ottiene il coefficiente patrimoniale Tier 1.

Mauro Tozzato   06.11.2011

 


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