L’Italia antikeynesiana (1981-2013)

Creato il 31 luglio 2013 da Keynesblog @keynesblog

Una leggenda si aggira per l’Italia: il nostro sarebbe un paese keynesiano.

1) Nel 1981 la Banca d’Italia e il Tesoro “divorziano”. Lo Stato quindi rinuncia al controllo sui tassi di interesse dei titoli e lascia crescente spazio nella loro determinazione ai mercati finanziari.  Risultato: il debito pubblico incomincia ad aumentare rapidamente.

2) Durante gli anni ’80, al contrario di quel che quasi tutti credono, la crescita della spesa primaria (cioè al netto degli interessi) si arresta. Alla fine degli anni 80 mentre tornano a salire le tasse …

… e a partire dai primi anni 90 l’Italia produce sistematicamente avanzi primari fino ad oggi (con la sola eccezione del 2009, quindi oltre 20 anni, a prescindere dal ciclo), mentre è in deficit considerando la spesa per interessi. La conseguenza è che lo Stato toglie risorse all’economia reale e le sposta verso la rendita mentre i mercati stabiliscono i tassi di interesse. Keynes invece proponeva l’eutanasia del rentierSiamo così bravi nei “sacrifici” da fare sfigurare anche i virtuosi tedeschi.

3) Negli anni 90 vengono privatizzate tutte le banche pubbliche. Keynes invece parlava di una “socializzazione di una certa ampiezza dell’investimento”. Al di là delle banche, l’entità delle privatizzazioni è seconda solo alla Gran Bretagna della Thatcher(*). Insieme ai “panettoni di stato” si privatizzano anche imprese strategiche e relative reti (Telecom).

4) Soprattutto sotto i governi Berlusconi si procede ad appiattire la curva delle aliquote fiscali,che invece Keynes riteneva dovesse essere ripida per mantenere alta la propensione al consumo.

5) Nel 1998 l’Italia aderisce all’euro, una moneta unica basata sull’idea di una banca centrale indipendente (secondo il postulato neoclassico delle “aspettative razionali”), un bilancio pubblico molto piccolo e mai in disavanzo, nessun riequilibratore automatico federale, nessun sistema che impedisca sistematici deficit/surplus delle partite correnti e criteri macroeconomici che limitano l’autonomia fiscale degli stati membri, senza alcuna compensazione “federale”. Ovvero esattamente il contrario delle prescrizioni keynesiane.

6) A partire dagli anni ’70 gli scambi commerciali e i movimenti di capitale vengono liberalizzati senza alcun meccanismo di riequilibrio. Cioè l’opposto di quanto Keynes propose a Bretton Woods. Il mercato unico europeo è l’apoteosi di questa politica.

7) Con la cosiddetta “legge Draghi” si procede alla liberalizzazione del sistema bancario abolendo la vecchia legge bancaria, mentre (come sanno anche i sassi) il keynesismo prescrive una forte regolamentazione delle banche (come con il Glass-Steagall Act) e la “repressione” dei mercati finanziari.

8) Con la crisi dei debiti sovrani l’Italia decide di applicare un’austerità ancor più dura che nei 20 anni precedenti, tagliando la spesa e aumentando le imposte nel tentativo di raggiungere il pareggio di bilancio (inserito peraltro in Costituzione). Il risultato, come prevedono i modelli keynesiani, è che il PIL si riduce più dell’aggiustamento fiscale, portando così a crescere il rapporto debito/PIL.

La sintesi è che abbiamo fatto l’esatto opposto di quanto prescrivevano Keynes e i Keynesiani. Sostenere che siamo nei guai perché siamo stati “troppo keynesiani” facendo deficit (in realtà accumulando avanzi sistematici) suona piuttosto ironico.

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(*) UK: 13,4% del PIL periodo 1984-1996; ITA: 12,3% periodo 1992-2003. Alberto Quadrio Curzio ha calcolato una classifica differente tenendo conto di periodi più estesi e senza rapportare al PIL: “Dal 1985 al 2012 l’Italia ha effettuato dismissioni (sia dello Stato che degli Enti locali, sia parziali che totali) con introiti per 157 miliardi di euro correnti preceduta nella Ue25 (senza Bulgaria e Romania) solo dalla Francia (174 miliardi) e seguita da Regno Unito e Germania”. Il Sole 24 Ore: http://24o.it/CR3zQ


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