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L’Italia che affonda (come giusto che sia) funziona più o meno così.Poniamo il caso che hai una piccola azienda che va bene, produce fatturati e utili. L’azienda è affidata con il sistema bancario perché il business è buono e tu hai ipotecato la tua casa per garantire le line di credito necessarie alla tua impresa per poter lavorare.
Sei stato anche sempre diligente e preciso con il pagamento dei fornitori, delle tasse e dei contributi dei tuoi dipendenti. Insomma, tutto in regola. Ad un certo punto della storia arriva la crisi e la tua azienda va in difficoltà. Ma siccome tu sei stato diligente, magari hai messo via qualche risparmio. Quindi, sostieni l’azienda (come giusto che sia) anche perché pensi che la crisi sia passeggera e quindi destinata a risolversi in breve tempo.
C’è un problema, però. Ossia che la crisi, anziché durare solo qualche trimestre, si protrae per diversi anni, peraltro aggravandosi. Ma tu non molli, perché ne fai una questione di orgoglio e di buon nome. Magari quel buon nome di tuo nonno o di tuo padre che, con tanto sacrificio, avevano creato quell’azienda pensando che un giorno saresti stato tu a gestirla e ad esserne il timoniere. Proprio per questo, in questi anni di crisi, ti dissangui e finanzi l’impresa prosciugando tutti i tuoi risparmi. Ma non basta. I tuoi clienti ritardano sempre più i pagamenti. Alcuni di loro falliscono e i tuoi crediti diventano carta straccia. Sono crediti che tu avevi anticipato nel tue linee di credito bancario. Quindi, onde evitare la segnalazione alla centrale rischi bancari, devi coprirli. Chiedi altri affidamenti, in altre banche. Ma anche loro navigano in cattive acque e poi, quando vedono che il tuo business non è più profittevole come negli anni addietro, non se la sentano di accollarsi i crediti di altre banche, che sarebbero i tuoi debiti. Quindi, legittimamente, si rifiutano di finanziarti. Per sistemare i buchi che si stanno aprendo, avendo esaurito i risparmi, non hai altra via d’uscita che finanziarti non pagando le tasse. Quindi non versi l’IVA, l’irpef dei tuoi dipendenti e neanche i contributi. Cerchi di tappare i buchi come puoi. Ma la crisi si aggrava e i buchi diventano voragini. La tua banca storica con la quale sei affidato e hai linee di credito, si fa sempre più insofferente nei confronti della tua posizione. Si sentono a rischio e chiedono anche le firme di garanzia di tua moglie o dei tuoi famigliari. Le concedono, accompagnate anche dalla garanzia di un confidi al quale tu, pur non potendotelo permettere, paghi laute commissioni. I debiti tributari aumentano. Ti arrivano pacchi di avvisi bonari da parte degli enti impositori. Li rateizzi, con annesse sanzioni e interessi. Ma non riesci a pagarli e quindi decadi dai benefici. Lo Stato ha i conti allo sfascio e deve incassare. Quindi manda la cavalleria a riscuotere la pretesa tributaria. Arriva Equitalia con aggi, interessi e con il 30% di sanzioni. Ormai sei con l’acqua alla gola e decidi che se non vuoi mandare a casa i tuoi dipendenti e vuoi continuare la tua impresa pagando i fornitori, te ne freghi di Equitalia. Ma questi, dopo pochi mesi, aggrediscono il tuo capannone e ti iscrivono ipoteca. La banca si accorge dell’ipoteca iscritta da parte di Equitalia e capiscono che sei più spacciato rispetto a quanto emerge dai tuoi bilanci. Ti chiedono il rientro dei fidi. Ormai sei fallito e la tua azienda è andata a puttane. Non hai più lavoro, i fornitori non ti consegnano più le merci e tu non puoi fare nulla di più che annegare nella tua tua disperazione in un mare di melma chiamato ItaGlia. Hai terminato le tue riserve, la tua famiglia scricchiola e anziché avere sussidi di disoccupazione, ti arrivano le cartelle di Equitalia. Fine della storia. E non è un happy end. Ps: questa è una storia comune a milioni di imprese e famiglie presenti in Italia. Soggetti che non hanno alcun futuro e che questo Stato fa finta di non vedere condannandoli a morte certa.
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