Albergo Ristorante Tre Re
Quando lavoravo in uno stabilimento chimico molto lontano da dove abitavo e molto vicino a un famoso santuario, avevo fatto una convezione con un ristorante per il pranzo di mezzogiorno per poche lire al mese.
Si notava subito che l’albergo aveva conosciuto tempi migliori: ma l’epoca dei grandi pellegrinaggi era finita e santuari più di moda avevano ridotto moltissimo la clientela. Le camere, ormai utilizzate solo come foresteria per i visitatori dello stabilimento, erano quasi sempre libere, in sala sempre solo tre o quattro persone; tuttavia la classe e la professionalità di chi ci lavorava erano di altissimo livello e i proprietari, una famiglia di albergatori, avevano mantenuto la loro signorilità e il loro decoro.
Io di solito, arrivavo alle 12,30 mettendo la macchina nel cortile di quella che sembrava dall’esterno una grande casa colonica disabitata.
Entravo e il proprietario mi veniva incontro cerimoniosamente e mi accompagnava al solito tavolo.
La sala da pranzo era molto grande e arredata con sobrietà. Accanto alle pareti, ricoperte con pannelli di legno scuro, si trovavano dei canterani e due grandi credenze contenenti l’occorrente per apparecchiare una ventina di tavoli.
Una volta che mi ero seduto, il proprietario andava a prendere il menù del giorno e me lo leggeva partendo dagli antipasti. Io ascoltavo, assentendo ogni tanto, quel lungo elenco di leccornie. A un certo punto leggeva con voce appena più alta: “Zampetti di maiale con salsa verde”. Poi si fermava un attimo senza alzare gli occhi dalla lista e talvolta sussurrava, come parlando fra di sé: “Molto buoni”; quindi continuava la lettura fino alla fine dell’elenco. Io aspettavo qualche istante pensieroso, poi ordinavo “zampetti di maiale con salsa verde” e un bicchiere di acqua, l’albergatore faceva un leggero inchino, talvolta aggiungeva a bassa voce: “Ottima scelta, dottore”.
La stessa cosa capitava con la polenta, con le zampe di gallina o con la trippa…
Nell’altro lato della sala, la moglie dell’albergatore, una donna minuta con i capelli bianchi raccolti, vestita di nero, affiancata dalle sue due graziose figliole, modestamente vestite, sedute a un tavolo mangiavano “zampetti di maiale con salsa verde”, o polenta o zampe di gallina o trippa. Ogni tanto parlavano sommessamente. Meno di un brusio.
L’albergatore mi serviva, poi raggiungeva la famiglia al tavolo per mangiare con loro. Io, finito di pranzare, mi alzavo avviandomi verso la porta. Le due ragazze mi salutavano con un leggero cenno del capo e un sorriso.
Questa era l’Italia che mi affascinava.
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