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L’Italia che non capisce l’Euro

Creato il 10 aprile 2013 da Catreporter79

L’Italia si è abituata ed è stata abituata, da Giolitti in poi, ad una politica economica sempre più disinvolta e depauperante, orientata allo spreco, all’ assistenzialism­o più parassitario e ad una cultura del non controllo che, de facto, tollerava se non incoraggiava l’evasione e l’elusione fiscale (il boom del secondo dopoguerra si deve anche all’allentament­o delle maglie del fisco sull’imprendito­ria). L’ingresso nell’Euro e la pressione di quella che comunemente viene definita “Europa” (in realtà è la Banca centrale europea), hanno imposto un brusco stop a tale approccio gestionale; essendo infatti l’Italia la terza economia continentale e l’ottava planetaria, il suo peso era ed è troppo vincolante perché l’organismo comunitario possa consentire a Roma il prosieguo di traiettorie rischiose per l’interesse collettivo. Di qui, l’imposizione della revisione dei conti pubblici e di una austerity risanante che è andata scontrarsi, prima di tutto, con una mentalità sedimentata ed incarnita in oltre un secolo di soggiorno in un paese dei balocchi che al posto di giostre e zucchero filato offriva baby pensioni, interessi altissimi sui titoli di Stato ed una PA pachidermica ed improduttiva. Ecco perché il popolo rigetta l’Euro e quella che identifica come “Europa” (aizzato in questa pericolosa deriva isolazionistica­ dall’irresponsa­bilità demagogica delle forze del laissez-faire più peculiarmente destro), ecco perché vede nella Cancelliera tedesca una “culona”; perché non siamo in grado di gestirci e farci gestire con senso di responsabilità ed oculatezza, educati ai pensieri corti dell’interesse del momento da una classe politica immatura. La moneta unica ed il suo braccio politico-econom­ico sono l’unica e l’ultima possibilità che l’Italia (ed anche la Francia) ha per rimettersi in pari. Solo in questo modo potremo tornare a crescere. P.s: Sappiamo dove porta la strada di Weimar.



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