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L’Italia che vorrebbero

Creato il 31 luglio 2015 da Albertocapece

images (2)Anna Lombroso per il Simplicissimus

La rivoluzione copernicana ebbe inizio a Venezia.

Sdegnati per la tracotanza del sindaco di Barcellona, reo di aver presentato alcune misure per limitare gli effetti devastanti del turismo con lo slogan “non vogliamo fare la fine di Venezia”, un ministro – quello che aveva risposto: “Barcellona dovrebbe baciarsi i gomiti per poter diventare come la Serenissima”, quello del “basta bivacchi”, un neo sindaco, deciso a “fare causa” al collega spagnolo, a tutela del buon nome della città, determinato a ripulirla da “gente che gira, bighellona e si ubriaca e da accattoni, mendicanti e individui molesti”, un governatore preoccupato per l’africanizzazione della regione, intenzionato a muovere una guerra gandhiana contro gli incapaci di Roma, interprete di un accorato appello degli operatori, preoccupati per la salvezza della stagione turistica, decisero di sperimentare proprio là le nuove frontiere dell’ospitalità, quella che, come ebbe a dire Stendhal, accoglie bene chi ha quattrini da spendere.

In poco tempo i rari irriducibili residenti vennero spostati in terraferma, in news towns sulla falsariga dei ricoveri per terremotati voluti da Berlusconi, la città venne svuotata in modo da trasformarsi profittevolmente in un insediamento di strutture ricettive diffuse. A qualche ultimo nato di dinastie dogali, qualche Foscari, qualche Grimani, qualche Faliero venne concesso di restare nelle cantine dei palazzi aviti con la funzione di ciceroni, portieri, facchini. Grandi navi poterono transitare indisturbate in Bacino vomitando i forzati delle crociere e dei selfie lungo le calli opportunamente allargate per consentire il passaggio di oceaniche comitive di bighelloni si, ma paganti e di origine controllata. E mentre ogni giorno veniva ripetuto con successo il folkloristico fenomeno dell’acqua alta a beneficio degli ospiti del Sol Levante.

Intanto a Roma, dove nelle periferie si consumavano guerriglie urbane, rivolte di poveracci contro poveracci di fuori, dove le vecchie borgate venivano retrocesse a favelas, dove Parchi e siti archeologici venivano convertiti in discariche, nel centro storico cittadino in omaggio a Cinecittà, diventata parco tematico del cinema di cartapesta che imita il cinema, pochi privilegiati erano costretti ad abbandonare verso case ad Antigua e vari paradisi fiscali i vetusti palazzi, teatro di una rappresentazione della Città eterna, con i cittadini rimasti a interpretare gladiatori, Ciceruacchi, Rugantini, con funzione di inservienti di hosterie, Sushi bar alla matriciana, buiaccari, sotto la regia sapiente di dinamici cooperatori, grazie alla collaudata esperienza maturata nell’accoglienza di varie tipologie di viaggiatori.

Diverso destino per la Sardegna, diventata l’hub per le trasferte di sceicchi che si erano accaparrati coste e tratti di mare, affettuosamente intrattenuti grazie a rappresentazioni di attività contadine e della pastorizia, con “attori” proveniente da miniere e antichi insediamenti produttivi in costumi tradizionali e maschere da mamuthones.

Grazie alla lungimiranza del governo città meno dotate di vocazione turistica e meno ricche dell’attrattiva di un patrimonio artistico dovizioso vennero trasformate in musei viventi: a l’Aquila un’esposizione permanente, testimonianza del terremoto, con macerie facilmente visitabili, roulottes e prefabbricati nei quali era possibile entrare nella vita di ogni giorno degli sfortunati abitanti. A Palermo, con un percorso guidato nei luoghi più leggendari animati da eventi virtuali, sparatorie, inseguimenti, itinerario dei piloni storici, nasceva il museo della mafia gemellato con città del nord, altrettanto investite dal pittoresco fenomeno.

Minor successo incontravano siti di archeologia industriale, che il lavoro ormai definitivamente cancellato in favore di conclamate schiavitù, non aveva appeal presso i target del turismo mondiale: una puntatina a Pomigliano, nella quale si teneva la tradizionale sagra del metalmeccanico, con orchestre di comparse in tuta che scandivano slogan insurrezionali al suono di “Contessa”, una serata all’Ilva per regalarsi l’irripetibile esperienza dell’esposizione controllata a veleni.

E che dire del percorso a ostacoli – a imitazione della Parigi Dakar – della vacanza avventurosa sulla Salerno -Reggio Calabria, o della pièce de resistence, dedicata agli amanti dei giochi di ruolo di un giorno a Fiumicino?

L’esperimento era riuscito, questa era l’Italia che poteva riconquistarsi autorevolezza e consenso sullo scenario globale.


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